Capitolo 20

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"L'amore
è un bellissimo fiore,
ma bisogna
avere il coraggio
di coglierlo
sull'orlo di un precipizio"
STENDHAL

La mia mano trema, colta da forti spasmi, mentre osservo gli occhi di quest'uomo inginocchiato davanti a me.
Lacrime salate bagnano le sue guance arrossate.

«Conosco tuo padre e so che verrà ad assicurarsi che tu mi abbia ucciso.
Controllerà questo posto e, quando non troverà neanche una goccia di sangue, capirà che non lo hai fatto» balbetta, alzandosi lentamente in piedi.

«E cosa dovrei fare?» domando confuso, in balìa dei movimenti involontari del mio corpo.
«Devi colpirmi, non mortalmente.
Il mio sangue deve imbrattare questo pavimento, solo così tuo padre crederà che mi hai ammazzato»
«E cosa dovrei dirgli quando mi chiederà che fine ha fatto il tuo cadavere?»

«Te ne sei liberato.
Trova una persona di cui realmente ti fidi, deve sostenere la tua tesi.
Tu mi hai ucciso e, insieme, vi siete liberati del mio corpo»
Poso due dita sulle mie tempie pulsanti, assimilando le parole dell'uomo di fronte a me.
Mi scoppia la testa.

«Colpiscimi» biascica, allargando le braccia tremolanti.
Incastro i miei occhi nei suoi alzando lentamente l'arma per poi puntargliela contro.
«Mi dispiace» sussurro, premendo il grilletto.

Le urla strazianti dell'uomo riecheggiano nel capannone dismesso, il sangue fuoriesce dalla sua spalla destra creando una pozza sul pavimento sudicio.
«Cazzo, come ti senti?» balbetto, correndo nella sua direzione.
La sua fronte gronda sudore mentre, con l'aiuto della mano sinistra, esercita una forte pressione tamponando la ferita.
Mi inginocchio accanto a lui, posando una mano dietro la sua nuca.

«Come ti senti?» urlo ancora, scuotendogli leggermente la testa.
Sento il tessuto dei miei pantaloni bagnarsi, quasi inzupparsi; abbasso lo sguardo sulle mie gambe piegate osservando terrorizzato quell'enorme macchia rossa che colora i miei vestiti.

«Devi andare ora» biascica l'uomo, serrando i denti per il forte dolore.
«Grazie per non avermi ucciso» continua, strizzando gli occhi arrossati.
«Come te ne andrai da qui?» domando, con lo sguardo fisso sulla pozza di sangue.
«Non è importante.
Tranquillo, quando tornerai con tuo padre io non ci sarò.
Ora vai»

«Hai un figlio, proteggilo.
Non immischiarti più in tutto questo schifo» sussurro, alzandomi lentamente.
Con lente falcate raggiungo l'uscita del capannone, voltandomi un'ultima volta verso di lui.
«Buona fortuna» batto un colpo sul grande portellone grigio per poi andarmene.

Prendo posto sul sedile della mia Mercedes SLK, strofinando in maniera morbosa le mani sui pantaloni per rimuovere il sangue dai miei palmi.
L'odore pungente di quel denso liquido rosso scuro mi fa venire la nausea.
Avvio il motore e, guidando velocemente, raggiungo l'enorme villa di mio padre.
Busso ripetutamente, in attesa che quella troia di Myra venga ad aprire la porta.
Dopo qualche istante, finalmente, il grande portone si schiude davanti ai miei occhi.

«Tuo padre è nel suo studio, ti sta aspettando» balbetta, scostandosi di lato.
Dopo che l'ho quasi strangolata con le mie mani, ha capito che con me non le conviene fare la puttana.
Con rapide falcate raggiungo l'ufficio di mio padre e, senza neanche chiedere il permesso, mi fiondo al suo interno.

Una ragazzina ispanica di circa diciott'anni è inginocchiata davanti a Tom e, con movimenti impacciati, prende il suo uccello in bocca.
«Potresti farti succhiare il cazzo più tardi?» domando schifato, prendendo posto sulla poltroncina in pelle.
La ragazzina arrossisce, colorando le sue guance di pura vergogna.
Si alza rapidamente in piedi, cercando di nascondere il volto dietro le sue piccole mani.

L'inferno in noi 2 {CAOS}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora