Capitolo 29

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"Il grande vantaggio
del giocare con il fuoco
è che non ci si scotta mai.
Sono solo coloro
che non sanno giocarci
che si bruciano del tutto"
OSCAR WILDE

«Sì, certo che lo conosco» biascico, avvertendo una fitta proprio al centro del petto.
«Bene.
Per fidarmi di te ho bisogno che tu metta in gioco la tua vita.
Sei pur sempre un Miller, potresti tradirmi da un momento all'altro.
Se accetterai di giocare, però, non avrò più alcun dubbio sulla tua fedeltà» esclama Artem, porgendomi la mano.

Una scintilla di pura eccitazione attraversa le sue iridi chiare rendendo il suo sguardo sadico e privo di alcun tipo di moralità.
Mi prendo qualche istante per pensarci; ho promesso a me stesso che avrei portato a termine la mia vendetta a qualunque costo e sono disposto a pagare un prezzo alto, forse troppo alto pur di vederli sprofondare nella sofferenza più totale.

«D'accordo, ci sto.
A patto che tu mi prometta che, a prescindere da come andrà stasera, tu mi vendicherai»
Afferro la sua mano, stringendola a tal punto da far diventare le nocche bianche per poi alzarmi rapidamente dal divanetto in pelle e piazzarmi di fronte a lui in attesa di una risposta.
«Hai la mia parola, Miller» esclama, dando una sonora pacca sulla mia spalla indurita dalla tensione.

Cammino lentamente in direzione del privè quando, ad un tratto, vengo immobilizzato dalla ferrea presa di Jennifer sul mio braccio.
«Non devi farlo per forza, Axel» sussurra, avvicinando il suo viso al mio.
«Non mi succederà nulla, piccola Jen.
Devi stare tranquilla e aspettarmi qui»

Afferro il suo viso tra le mani, soffiando delicatamente sulle sue labbra carnose dipinte di rosso.
«Ma Axel, è risch...»
Poso le mie labbra sulle sue, senza lasciarle nemmeno il tempo di terminare la frase.
Ho paura, esattamente come lei; eppure lascio che la mia lingua le trasmetta altro.

Divoro la sua bocca cercando di incuterle una finta sicurezza, di mostrarle un coraggio inesistente.
«Ti fidi di me?» domando, lasciando che il suo fiato caldo si schianti sul mio viso.
«Sì, mi fido di te» balbetta, incastrando le sue iridi chiare nelle mie.
«Allora credimi quando ti dico che andrà tutto bene.
Tra poco torneremo a casa e ti scoperò.
Ti scoperò con la consapevolezza di aver sfidato la morte per poi essere tornato tra le tue gambe» biascico al suo orecchio, provocandole un brivido lungo la spina dorsale.

«Siediti pure» afferma Artem, scostando la tendina nera per permettermi di entrare.
Dei piccoli led rossi illuminano la stanza, mostrando a malapena l'arredamento datato e minimalista.
Una sedia in legno è posizionata davanti ad un vecchio tavolo vuoto; nè una foto, nè un dipinto donano personalità a questa stanza austera e fredda.

Prendo posto sulla sedia, muovendomi nervosamente alla ricerca di una posizione comoda per poi guardare negli occhi ogni singolo uomo presente nella stanza.
Riconosco il vecchio cane da guardia e gli altri tre scagnozzi che mi avevano quasi sparato nel capannone, poi osservo gli altri quattro presenti.

Sono tutti giovani, probabilmente hanno la mia stessa età e mi osservano attentamente tenendo le braccia incrociate al petto.
Uno di loro cattura la mia attenzione; lo fisso scrupolosamente rendendomi immediatamente conto che è la copia esatta di Artem.
Il lato destro del suo volto è quasi interamente sfigurato da un'enorme cicatrice; i suoi occhi azzurri sono inespressivi, svuotati da ogni emozione.

«Lui è mio fratello» esclama Artem, dandomi le spalle.
Dalla tasca destra dei suoi pantaloni eleganti estrae tre proiettili e carica la pistola per poi ruotare rapidamente il tamburo e voltarsi nella mia direzione.

«È stato tuo fratello a ridurlo così» sussurra in maniera lenta e quasi meccanica mentre, incastrando le sue iridi chiare nelle mie, mi porge una Revolver Nagant M1895.
«Mi dispiace» sussurro, osservando ancora una volta il lembo di pelle tirata che sfigura quel volto angelico.

L'inferno in noi 2 {CAOS}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora