Capitolo 24

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"E quanto coraggio
ci vuole
a lasciar andare qualcosa
che vorresti a tutti i costi
restasse?
Non è forte chi trattiene,
chi stringe la morsa.
È forte chi capisce
quand'è il momento
di mollare la presa"
(DAL WEB)

Salgo le scale due gradini alla volta, ho bisogno di vederla.
Ho bisogno di sapere che sta bene, che sono riuscito a metterla in salvo anche stavolta.
Soprattutto, però, ho bisogno di sprofondare tra le sue braccia, ho bisogno di sentirmi al sicuro anche io.

Il viaggio fino a Roma è stato un vero inferno.
Ho guidato in compagnia di un atroce dolore, ho lottato con tutto me stesso per non cedere agli spasmi involontari del mio corpo.
Una rampa di scale.
Una sola rampa di scale e potrò finalmente perdermi in quel verde smeraldo che colora le sue iridi.

Mi trascino a fatica, usando le mie ultime forze per sorreggermi al corrimano e arrivare sul pianerottolo della piccola casa di Jen.

Busso ripetutamente alla porta, lasciando poi scivolare il mio corpo sulla parete fredda dipinta di bianco.
Sento le gambe cedere pian piano, la testa scoppiare e il cuore battere così forte che potrebbe bucarmi il petto da un momento all'altro.
Dopo interminabili secondi finalmente la porta si schiude.

Jen mi osserva, mi squadra da cima a fondo con la paura stampata negli occhi.
«Oh mio Dio!
Axel, che cosa ti hanno fatto?» urla, portandosi le mani sul viso.
Un sorriso dai tratti isterici si dipinge sul mio volto tumefatto mentre osservo impotente Jen accovacciarsi accanto a me e poggiare una mano dietro la mia nuca.
Un altro grido fuoriesce dalle sue labbra appena nota un'evidente chiazza di sangue colorarle la piccola mano candida.

«Venite qui.
Presto» urla, voltandosi in direzione del corridoio.
«Jen, prima di aprire la porta dovresti sempre chiedere chi è.
Avresti potuto trovarti davanti un cattivo ragazzo» biascico, stampando sul mio viso un sorriso doloroso.
Dei puntini neri mi offuscano la vista, mi impediscono di mettere a fuoco le figure chinate davanti a me.
I rumori giungono ovattati alle mie orecchie, riesco a percepire soltanto un fastidioso brusio.

«Axel.
Axel, rispondi cazzo»
Eccola qui.
La voce del mio angelo custode.
Riuscirei a sentirla persino se fossi completamente sordo.
«Ehi, piccola Met» riesco a dire, prima di chiudere gli occhi e abbandonarmi alla stanchezza che pervade ogni cellula del mio corpo.

«Miriam» biascico, cercando di alzarmi a sedere.
Un martello pneumatico sembra azionarsi all'interno del mio cervello ogni qualvolta compio un piccolo movimento.
Batto le palpebre più e più volte, impiegando qualche istante per riconoscere la camera da letto di Jennifer.

«Occhi blu, sono qui» sussurra Miriam, accarezzando dolcemente la mia guancia dolorante.
«Vieni, sdraiati vicino a me» batto due colpi sul materasso, muovendomi a fatica per farle un po' di spazio.
Sospira energicamente prima di obbedire e prendere posto al mio fianco.

Mi prendo qualche istante per osservare le sue iridi chiare.
Quella particolare luce che solitamente fa brillare i suoi occhi sembra essere svanita.
Il suo sguardo è spento; intriso di paura, rabbia e un indescrivibile dolore.
È stanca, esattamente come me.
Stanca di dover lottare così tanto, di dover sfidare un destino che non ci vuole assieme.
La sua unica colpa è quella di essersi innamorata del diavolo, di aver scelto di bruciare all'inferno.

«Tutto bene piccola?» domando, incastrando le mie iridi azzurre nelle sue.
Annuisce, muovendo lentamente la testa mentre una goccia salata bagna la sua pelle candida.
«Ho avuto paura di perderti» sussurra, avvicinandosi di qualche centimetro.
«Questo non succederà mai»

L'inferno in noi 2 {CAOS}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora