Capitolo 8

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Destiny

<Non ricordo l'ultima volta quando ti ho vista sorridere in questo modo> la voce di Clara mi fa sussultare nella sedia.

<Scusami tesoro, non volevo spaventarti> mormora piano mentre si abbassa di poco, baciando dolcemente la mia testa per poi accarezza piano Margot che dorme beatamente sopra le mie gambe.

<Ero soprappensiero>

<Pensieri belli suppongo> dice a bassa voce mentre si siede sulla poltrona che c'è davanti a me.

<Può darsi> rispondo mentre le mie labbra si curvano leggermente all'insù al solo pensiero di ieri sera.

<E questi pensieri possono essere condivisi anche con la tua dolce madrina?> domanda in modo dolce. Nonostante conosco Clara, anzi, lei conosce me praticamente da quando sono nata dato che lavora per la nostra famiglia da una vita e la mamma aveva scelto di farmi battezzare da lei dato che la considerava parte della famiglia e poi mia madre era molto legata a lei.

<Non fare la ruffiana con me, lo sai che non funziona> rispondo ridacchiando.

<Questo per caso è un modo alternativo per farmi capire che tieni per te quello che ti fa sorridere?>

<Non è niente di che> rispondo mentre lentamente mi alzo, sistemando in seguito Margot sopra la sua copertina.

<Vedremo> dice solamente per poi uscire dalla mia stanza e lasciarmi nuovamente da sola con i miei pensieri.

<Secondo te è sbagliato sorridere?> domando sussurrando tra me e me mentre guardo Margot.

<Forse non ho il diritto> mormoro piano mentre mi passo le mani nei capelli in modo nervoso. Negli anni sono stata messa alla prova tante volte, partendo proprio da quando era una ragazzina, poi e subentrato il periodo adolescenziale e nonostante le critiche sul mio aspetto fisico ho cercato di non fare un dramma, anche se certe volte i complessi tornano ma il colpo che più mi ha spezzato è stato tutta la faccenda con Roxane.

<Mi accompagni in un posto?> domando con la voce fioca appena Owen accetta la mia chiamata.

<Piccola Desy>

<Stephen?> domando incredula quando il timbro di voce della persona che parla dall'altra parte del telefono non sembra affatto quella di Owen.

<Ah, ma allora sai come mi chiamo> dice ridacchiando.

<Sei ubriaco per caso?> domando mentre inarco le sopracciglia allibita.

<Può darsi>

<Dove è Owen e perché hai risposto tu al suo telefono?> domando mentre apro la porta finestra che da sul piccolo balconcino e come sempre punto lo sguardo in avanti, osservando il ponte di Brooklyn che si vede in lontananza. Ed è in momenti come questi, quando guardo ormai da lontano il ponte che mi viene nostalgia della vecchia casa.

<Abbiamo deciso di passare la giornata tra ragazzi> risponde ridacchiando.

<Smettila di ridere e dimmi dove si trova Owen> dico in modo duro quando riprende nuovamente a ridere.

<Se trovi me troverai anche lui> dice solamente prima di staccarmi il telefono in faccia.

<Idiota!> sbotto contro il telefono, anche se in realtà il mio nervoso è rivolto a quel ragazzo che ha chiuso.

<Avrai dei giorni liberi dato che non puoi muovere la mano. Usali per rilassarti> borbotto a bassa voce le parole che mi disse Owen questa mattina al telefono.

Anima tormentataDove le storie prendono vita. Scoprilo ora