15. "Amore"

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Fortunatamente la situazione tra me e Matteo procede a gonfie e vele. Sono trascorse circa tre settimane e giugno ormai è alle porte. Sento suonare la campanella, segno che ora sono ufficialmente in vacanza -perché, detto fra noi, chi va a scuola oltre il trentuno Maggio?-. Mi precipito fuori da scuola, insieme ad Arcangela e le altre e discutiamo su quale tipo di combustibile utilizzare per dare fuoco ai nostri volumi enormi di greco e filosofia. Alla fine decidiamo di scioglierli nell'acido, per eliminare qualsiasi traccia. Appena varco la soglia dell'istituto un raggio primaverile mi colpisce e sono costretta a socchiudere le palpebre e portare una mano al viso per abituarmi.

"Pssst" mi sussurra Lucrezia, dandomi una gomitata. Quando riapro gli occhi noto che Matteo è appena arrivato: sta sistemando la sua Vespa fiammeggiante, poi slaccia lentamente il casco ed inizia a cercarmi con lo sguardo tra la folla che si è creata davanti l'edificio. Non riesco a trattenere un sorriso, ma non so come mai sia ancora stupita, dopotutto viene a prendermi da settimane ormai. Saluto velocemente le ragazze e corro da lui, sorprendendolo alle spalle.

"Poi un giorno mi spiegherai come fai ad essere qui in così poco tempo" annuncio e lui sussulta, poi si volta sorridendo ed io mi sciolgo.

"Diciamo solo che ho un buon motivo per arrivare puntuale" si avvicina e mi da un leggero bacio sulla guancia ed io arrossisco. Non amo le effusioni in pubblico e lui lo sa, non voglio ostentare la mia felicità, come fanno molte coppie. Non cammino con lui mano nella mano o sottobraccio per dire "Uh guarda, io sono fidanzata e tu no" oppure "lui è mio, giù le zampe". Non ho bisogno di baciarlo in pubblico per tenere alla larga le altre "rivali", mi fido di lui. Semplicemente perché basterebbe osservare il modo in cui ci guardiamo per capire a pieno fin dove si spinge il nostro rapporto, perché due persone innamorate - o qualunque cosa sia quello che proviamo- si riconoscono dai piccoli gesti, insignificanti a volte, che valgono di più di mille abbracci o quel che sia. Conosco ragazze che, se potessero, metterebbero un cartello al collo del loro compagno con la tipica scritta "Proprietà di ******", la domanda che mi ronza nella testa è: se amore vuol dire fiducia, come mai alcune persone sentono il bisogno di usare dei "guinzagli"?

So che Matteo è un bel ragazzo, più che bello, ma so anche che è una persona diversa da me, capace di prendere decisioni senza che io lo condizioni, perché, sì, ci vogliamo bene ed è come se fossimo in simbiosi, ma siamo due persone distinte, con due menti pensanti ed indipendenti. Sta tutto nel capire che lui è un essere umano e non un cane che, una volta adottato, deve adattarsi al padrone e stare ai suoi ordini. Lui è libero. Io sono libera. Così dovrebbe funzionare un rapporto, senza museruole, un legame genuino con una vittoria da entrambe le parti e non una conquista su cui piazzare uno stemma, per poi essere sottomessa.

"Ti va se mangiamo al McDonalds?" mi chiede il magnifico ragazzo al mio fianco.

"C'è bisogno di chiederlo?" alzo le sopracciglia, domandando retorica.

"Bene, allora andiamo" mi porge un casco e lo afferro in men che non si dica. Mentre partiamo vedo una ragazza sfoggiare in bella mostra sulla scollatura un succhiotto. Che atto repugnante. I succhiotti mi ricordano i cani che marchiano il territorio con la pipì. Non vedo molta differenza tra uno stampo del genere con il marchio di uno schiavo nero al tempo del triangolo commerciale, con l'unica differenza che per uno schiavo il segno di appartenenza era uno degli atti peggiori, che indicava sottomissione, mentre per due fidanzati è una forma di vanto. Cosa proveranno mai di bello a portare sulla pelle un marchio come quello degli animali da allevamento? Contenti loro, io non sono nessuno per giudicare gli altri.

Dopo circa venti minuti raggiungiamo il locale, ma dobbiamo attendere in coda ad una fila enorme di persone ammassate tra loro in uno spazio ristretto, con aria che contiene più odori sgradevoli a causa della sudorazione che ossigeno. Io decido di scegliere un luogo adatto per sistemarci, non amo i luoghi affollati, poiché soffro di claustrofobia, cercherò, quindi, di non pensare alle dozzine di persone intorno a me. Riesco a trovare un tavolo un po' appartato e mi siedo in attesa che Matteo arrivi con il nostro pranzo. Prendo il telefono per avvertire i miei genitori che non torno a casa, poi inizio ad osservare la gente che mi circonda. Da lontano intravedo un anziano che stringe tra le braccia un bambino di appena tre anni, presumo sia suo nipote.

Aspetto solo teDove le storie prendono vita. Scoprilo ora