Capitolo 7

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Lo scooter di Sarita metteva sempre Anvil un po' in apprensione, singhiozzante com'era, soprattutto quando lei lo lanciava a velocità ultrasonica sulla tangenziale non badando troppo alle regole stradali.

La donna le aveva ceduto il casco eppure non si sentiva per niente tranquilla. Si aggrappò con più forza alla sua schiena smilza, facendola spanciare. Un altro clacson risuonò troppo vicino, ferendole le orecchie.

Ringraziò ogni singolo Santo su nel cielo quando arrivarono in qualche modo intatte a destinazione.

L'aria già troppo frizzante di Collerosso le punzecchiò la pelle, facendola rabbrividire. A quell'ora il paesello ancora brulicava di persone, sparpagliate a macchia d'olio nella piazzetta della chiesa poco più avanti.

Lo scooter sfilò davanti ai negozietti d'antiquariato, i bar e le casette in tufo a circa quindici chilometri orari, ostacolato dai passanti.

Quell'atmosfera scoppiettante di vita riusciva sempre a mettere Anvil di buonumore. Occhieggiò il palazzetto in cui viveva Teo, chiedendosi se fosse in casa. Poi osservò con nostalgia i campi che circondavano il casale lì a fianco estendendosi attorno all'intero borgo, con i papaveri che si protendevano verso le mura alla ricerca di un contatto.

Pensò a Christoph e si scoprì a sorridere.

La marmaglia rumoreggiante aprì finalmente un varco in cui infilarsi per raggiungere la viuzza dello studio.

Non arrivava moltissima luce in quel vicolo tormentato di spifferi.

Anvil si strinse addosso il chiodo in pelle mentre Sarita smontava dallo scooter, canticchiando. La donna rinchiuse "il suo pupo" nella minuscola rimessa, tirò giù la saracinesca con un fracasso sgradevole e si accese una Black devil ancor prima di sfilarsi quegli assurdi occhialoni steampunk con l'elastico, che ad Anvil ricordavano quelli da aviatore.

Le erano sempre sembrati troppo grandi, sospettò anche quella volta che li avesse fregati al cugino.

A vederli così in effetti sembravano avere un design piuttosto maschile, pure se scuri com'erano non ci avrebbe messo la mano sul fuoco.

La donna alla fine se li sollevò sul capo, spettinandosi il Pixie cut tinto di rosso e sbuffando fumo come un comignolo.

Per un momento la ragazza fu certa che la miriade di orecchini sulle orecchie di Sarita venisse strappato via, tanto lei era stata brusca tirandosi su gli occhiali, ma non accadde.

L'odore dolciastro della sigaretta nera solleticò il naso di Anvil.

Si assestò meglio lo zainetto in spalla, grata che non le fosse volato via.

Il suo stomaco gorgogliò sonoramente, udibile da un chilometro con ogni probabilità. Erano le 19:38 e stava svenendo dalla fame.

D'altro canto non aveva avuto modo di cenare e la quattro formaggi trangugiata come pseudo pranzo non le era bastata di certo.

Sarita armeggiò col mazzo di chiavi in stile San Pietro, infilandone una nel cancello arrugginito. "Fame, eh?" Canticchiò, trascinando di lato l'inferriata. Ficcò un accendino nella tasca del gilet in pelle borchiato che aveva addosso, invitandola a seguirla. Richiuse il cancello.

Il piccolo perimetro del cortiletto squadrato incominciò a dipingersi con la luce slavata del tramonto. Quella luminosità scolorita accarezzò anche il resto dei locali in quella via. Anvil perse lo sguardo nei campi circonvicini lambiti dal crepuscolo, mentre Sarita litigava puntualmente con il portoncino dello studio. Attese che lo strattonasse e gli mollasse l'abituale calcio, che risuonò in un eco sordo sotto il colpo dell'anfibio chiodato. Riuscirono finalmente ad entrare, Sarita accese le luci a binario ed Anvil si parò gli occhi infastidita dal bagliore improvviso.

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