Dodicesimo giorno.

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Tre Febbraio 2013.

Dodicesimo giorno.



In men che non si dica sono a tirare pugni contro la porta della stanza, cercando di attirare l'attenzione della guardia che se n'è appena andata.

"Che c'è?", ringhia lui dopo poco, guardando nell'angusta apertura rettangolare della porta.

"Siamo in due qui dentro"

"E ti lamenti con me, stupida?"

Ha un'aria così strafottente che lo prenderei a pugni sul momento, ma cerco di mantenere la calma.

"Credevo dovessimo stare da soli"

"Non ci sono abbastanza stanze."

"Ma..."

"Hai paura che ti possa fare qualcosa? Tipo violentare, torturare o perfino uccidere? Beh, te la dovrai vedere da sola, cagnetta"

Tiro un pugno contro il vetro dell'apertura, colpendolo anche al naso. Sto sanguinando, ma non importa. Lo sento imprecare e chiamarmi nei modi più osceni possibili, prima di scomparire tra i corridoi. Ho ancora la mano oltre la porta quando sento Justin trascinarmi indietro, farmi sedere sul letto e sparire nel bagno.

Fisso la mia mano sanguinante e tremante. Non pensavo avrei potuto reagire così a una provocazione e invece l'ho fatto.

Dopo pochi secondi Justin torna e appoggia una cassetta sul letto, poi mi fa alzare e mi conduce in bagno, dove con un fazzoletto bagnato mi lava la mano sporca di sangue.

"Cerca di stare ferma", ma il dolore è troppo forte e mi scappa un urlo. Mi brucia tutta la mano e non riesco a fermare il tremolio costante. È una tortura.

"Jade, stai ferma"

"Non ci riesco"

Stringo gli occhi cercando di soffocare un altro grido. Dopo non so quanto tempo sono di nuovo seduta sul letto, la mano ferita in grembo a Justin: me la sta fasciando. Sembra così tranquillo che ho quasi voglia di dargli uno spintone. Vorrei che non si mostrasse così, il suo tentativo di fuga è appena fallito e sembra che lui abbia solo perso una partita a carte.

Non mi rendo conto di fissarlo intensamente fino a quando non mi parla.

"Che c'è?"

"Sei calmo"

"Come dovrei essere?"

"Arrabbiato, come minimo"

"Perché non siamo riusciti a scappare?"

"No, perché il cielo è blu e gli uccellini cantano"

Lui mi guarda male, poi continua a fasciarmi la mano.

"Mi è servito per capire alcuni errori in ciò che abbiamo fatto. Quando ci riproveremo dovremo avere un diversivo migliore ed essere più veloci"

"Quando ci riproveremo", lo canzono io, "dai così per scontato che io voglia riprovarci? Dopo essere quasi finiti bruciati?"

"Sono abbastanza sicuro che non vorrai rimanere qui per il resto dei tuoi giorni"

Adesso mi sta guardando in faccia e io come un ebete faccio lo stesso.

"Ehm"

"Che c'è?", dico io stavolta.

Fa un cenno con la testa verso la mia mano, completamente fasciata e medicata, appoggiata ancora sulle sue gambe. La ritiro immediatamente, abbassando lo sguardo.

Lennox - 0127Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora