Dodicesimo giorno. (3)

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Dodicesimo giorno (3)

capitolo nove.



"Spero tu stia scherzando, Jared"

"Purtroppo no"

Sento un macigno premermi sul petto, facendomi ansimare.

"Stai bene?" mi chiede lui, vedendomi in difficoltà.

"Sì...sì, sto bene. Chi è Gray? Chi è in realtà?" riesco a chiedergli.

"Che ti ha fatto, Jade?" mi risponde così, ignorando la mia domanda.

"Forse dovrei essere io a chiedertelo?" mi rendo conto di aver formulato una domanda, ma ormai è troppo tardi. Lui mi incita a parlare e così io inizio a parlare, inizio a raccontargli la mia storia, proprio come ho fatto con Justin. È la seconda persona con cui ne parlo in meno di una settimana e la cosa mi suona strana. Sto trovando più persone disposte ad ascoltarmi qui che in mezzo alle persone normali.

Durante tutto il racconto Jared rimane immobile, gli occhi fissi sul terreno e la mascella contratta. Solo quando finisco si volta per guardarmi.

"Mi dispiace" sono le uniche parole che dice, ma sono sincere, bastano quelle.

Per qualche minuto restiamo in silenzio, un silenzio pesante e grave. Poi Jared inizia a parlare.

"Con me ha fatto proprio come ha fatto con te. In modi diversi, sì, ma mi ha incastrato e buttato qui. Sembra sia un suo vizio, no?" fa una pausa, si guarda intorno e riprende a parlare.

"E' stato circa quattro anni fa. Mio padre e Gray erano colleghi di lavoro, sai, erano di un certo livello. Alla mia famiglia non mancava niente, eravamo molto fortunati.

Fino a quando non ho iniziato a perdere la testa, a comportarmi come...sì, proprio come se fossi drogato. In quel periodo Gray veniva spesso a pranzo da noi e altrettanto facevamo noi. Durante il pasto ero tranquillo, il ragazzo perfetto che i miei genitori erano fieri di aver cresciuto. Ma non appena tutto ciò finiva, avevo voglia di vedere i miei amici e di fare il cazzone, insomma. Non passò molto tempo prima che i miei si accorgessero delle mie nuove abitudini. La mattina ero uno straccio, stavo male, vomitavo e mi ricordavo poco della sera precedente.

Mi vietarono di uscire e di vedere i miei amici. Non contò niente, anche quando ero a casa stavo male e insultavo mia madre e mio padre, per questo non avevo scusanti. Decisero di farmi vedere da un medico. La diagnosi fu semplicissima: mi drogavo. Mia madre mise a soqquadro la mia stanza, senza però trovare nessuna traccia di stupefacenti.

Io continuavo a stare male, loro non si davano una spiegazione e intanto mio padre si distaccava sempre di più dal lavoro per starmi dietro.

Il peggio avvenne una sera. Scappai di casa, voglioso di libertà, e mi infilai nella prima discoteca che trovai. Non sai quanto vorrei poter tornare indietro, fu l'errore più grande della mia vita.

Stavo...ci stavo provando con una ragazza, era molto bella, quando il suo ragazzo -o qualcosa di simile- mi spintonò lontano da lei. Non ci vidi più, la minima cosa mi fece scattare.

Facemmo una rissa, i buttafuori dalla discoteca intervennero e ci fermarono, ma io riuscii a tirargli un ultimo calcio in pieno volto. Lui cadde violentemente e sbatté la testa. Non passò molto prima che del sangue si spargesse sul pavimento.

Ci furono delle grida e io venni sballottato fuori dalla discoteca, sempre tenuto fermo dai buttafuori. Poi arrivò Gray con la sua sfarzosa auto bianca, fece segno agli uomini di lasciarmi e loro lo fecero. Mi fece salire sulla sua macchina e io senza protestare mi feci portare dove voleva.

Lennox - 0127Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora