Capitolo 24- Mercoledì, 22 dicembre 1999
Lasciati abbracciare forte
Lasciami le ombre, il dolore, la notte
Lascia che ti dorma accanto quando viene buio
Mentre parli nel sonno e io urlo da solo
Non ero io dentro il tuo corpo
Non eri tu a tenermi dentro
"Non" - The Zen Circus
Album L'ultima Casa Accogliente- 2020
Hermione aveva l'anima sopra la pelle e tutto faceva cosi male, cosi dannatamente male.
Faceva male comprendere di aver trovato e perso il proprio sentiero nel giro di due giorni.
Faceva male fino a togliere il fiato pensare che la propria vita ancora non le apparteneva, che, nonostante tutto, il faro del giudizio era ancora puntato su di lei.
Faceva male fino a perdere il senno il pensiero di essere stata usata, raggirata, abbandonata. Perché così si sentiva Hermione: abbandonata, come una cosa. Usata come una cosa. Una cosa.
E non importavano le parole di Harry, i suoi tentativi di farla ragionare, le telefonate fiume di Ginny, le paternali di Kingsley. Non importava nulla.
Quei frammenti che lui pazientemente aveva incollato un pezzo alla volta si erano semplicemente frantumati. Polvere che ora vorticava dispersa dal vento.
Ma questa volta non era la tristezza che la divorava, ma una rabbia impetuosa. Una rabbia che le faceva vibrare la magia nelle vene. Qualcosa di animale e istintivo che Hermione non aveva mai pensato di possedere. Qualcosa di così spaventosamente incontrollabile.
E aveva paura di fare qualche sciocchezza, di cadere in quell'odio che levava dall'abisso quel canto bugiardo di sirena.
Poche ore senza di lui, dopo aver passato tutta una vita a ignorarlo...
Era quello l'amore? Era sentire colare addosso tutto il dolore per una assurda assenza? E se fosse morto? Che ne sarebbe stato di lei?
Balzò sul letto.
No.
Non avrebbe permesso a quel sentimento che un tempo lontano, lontanissimo, aveva avuto il sentore di burro e zucchero di schiacciarla faccia a terra.
Ora per la stanza il suo odore aveva un che di tossico e corrotto. Corrotto dalla rabbia che la stava strappando, dalle lacrime con cui l'aveva bagnato.
No.
Non sarebbe caduta. Non di nuovo. Non per Draco Malfoy. Che alla fine l'aveva lasciata lì.
E sì che, se l'avesse presa per mano, lei...
No.
Nel pomeriggio un piccolo drappello di uomini vestiti di nero fece il suo ingresso a casa di Draco con Kingsley.
Harry stava sulle spine: la sua faccia, adornata da profonde occhiaie nere che denunciavano la mancanza di sonno, era congelata in una smorfia dura.
Con la coda dell'occhio osservò in tralice Hermione che sedeva rigida e impettita su una sedia.
Nessuno fece gli onori di casa, nessuno si propose di offrire neanche un bicchiere d'acqua.
"Hermione lui è il signor Samuel G. Quahog, il Presidente del Macusa. È venuto personalmente per porgerti le sue scuse." Fece Kingsley.
Hermione si limitò a fissarlo, impassibile.
L'uomo si schiarì la voce e disse: " Piacere di conoscerla. Mi scuso a nome della comunità magica statunitense per quanto accaduto. La situazione è chiaramente sfuggita di mano..." Si interruppe un attimo per darle l'occasione di dire qualcosa, ma l'ostinato silenzio della ragazza lo indusse a proseguire paziente.
"Non era nelle intenzioni di nessuno arrecarle un simile danno. Non a lei."
Hermione strinse le labbra.
"Sono venuto personalmente per spiegarle come abbiamo intenzione di rimediare a questo... ehm... danno di immagine. Il mio personale è al lavoro per creare una storia credibile che possa ripulire la sua immagine. Grazie al cielo la fotografia pubblicata è piuttosto sfocata e questo ci dà la possibilità di giocare su uno scambio di persona. Il suo accompagnatore non sarà altro che un suo cugino babbano che lei è venuta a trovare. Stiamo mettendo a punto un profilo e una biografia corredata di ogni dettaglio. Per quanto riguarda il viso della persona in questione, sarà simile a quello, ehm, dell'originale. Stiamo ultimando tutto, dopodiché dirameremo un comunicato corredato da fotografie e tutto quanto sarà necessario. E qui entra in gioco lei. Dovrà farsi vedere per le strade di New York in compagnia di questa persona. I nostri uomini scatteranno delle foto e le faranno vedere ai giornali e il gioco sarà fatto. Una volta usciti i primi titoli verrà invitata a rilasciare una dichiarazione ufficiale." Concluse l'uomo sorridendo, certo che Hermione avrebbe finalmente detto qualcosa, magari un grazie.
"Dov'è l' Originale?" Chiese invece sarcastica.
Il Presidente guardò Kingsley.
"Hermione... non è il caso." Fece quest'ultimo.
"Ah no? Non è il caso? Aver fatto sparire un cittadino inglese dal giorno alla notte non è oggetto di conversazione? "
"No, signorina Granger. Il signor Malfoy ha fatto le sue scelte e queste non sono oggetto di conversazione." Rispose il Presidente.
"E per lui? Che storia vi siete inventati? Come farete a giustificare la sua presenza a New York e la sua sparizione?" Ribatté la Granger.
Il Presidente sospirò.
"Diremo che il signor Malfoy non aveva nessun limite agli spostamenti e che la sua richiesta di tirocinio è stata vagliata e accolta come quella di chiunque altro. Diremo che il suo comportamento è sempre stato irreprensibile. Tuttavia, a causa del polverone sollevato dai media, il signor Malfoy ha preferito rassegnare le dimissioni e andarsene per non creare problemi e imbarazzi."
"Direte anche gli avete messo una taglia sulla testa? Che dei pericolosi Mangiamorte sono sfuggiti al nostro controllo e che probabilmente hanno messo radici qui? Avvertirete la popolazione magica del pericolo? Cosa farete in proposito?"
"Non diremo niente del genere. Ci sono cose che non vanno divulgate signorina Granger. Non mi aspetto che lei comprenda certi meccanismi..."
Harry si abbandonò ad una risata sprezzante che lasciò tutti basiti.
"Oddio! Quanto siete ridicoli! Crede davvero che noi, proprio noi, non possiamo capire?! Sa perché Voldemort ha potuto fare quello che ha fatto? Perché le autorità deputate alla sicurezza di maghi e streghe hanno preferito ignorare la situazione, o meglio, nascondere la gravità della situazione. E tu!" Disse rivolto a Kingsley: "Tu dovresti saperlo meglio di tutti! Come puoi pensare di tener nascosta la faccenda!"
Kingsley chiuse brevemente gli occhi e poi disse: "Infatti al mio ritorno informerò la comunità magica della fuga di Dolohov, ma non posso costringere un'altra nazione a fare lo stesso!"
"Quindi non collaborerete per mettere fine a questa follia?" Insistette Hermione.
"Questi non sono affari suoi, signorina Granger! Sono stato fin troppo paziente con lei, non abusi della mio spirito di sopportazione! In patria sarà anche una celebrità, ma qui non è niente, capisce? Niente! Avrei potuto rimpatriarvi e lavarmene le mani!" Fece l'altro spazientito.
"Sarebbe stato più onesto. Forse avrebbe anche potuto continuare a dormire sereno. Ma adesso..." buttò là Hermione con un mezzo sorriso.
"Mi sta forse minacciando?" Domandò il Presidente per poi scoppiare a ridere.
"Hermione! Per Merlino!" Sbuffò Kingsley.
"Oh no. So di non aver alcun potere e ho capito che qui si gioca una partita al di fuori della mia portata, fatta di sotterfugi, inganni, mistificazione della realtà. Intendevo dire che adesso non potrà esimersi dal collaborare apertamente con noi. Il signor Malfoy ha preso le sue precauzioni prima di sparire nel nulla, prima di..." Prima di lasciarmi qui.
"Cosa intende dire?" Fece il Presidente preoccupato.
"Dico che forse le conviene non tentare di fregarci. Che questi quattro energumeni con i quali se ne va in giro farebbero meglio a non giocare sporco. So che Malfoy si è unito a voi con l'unico intento di riabilitarsi. Ecco... se ciò, alla fine di tutto, non accadrà... io, se fossi in lei, non tirerei la corda." Concluse.
"Kingsley! Come puoi permettere che una bambinetta babbana mi si rivolga così!" Fece, adirato come non mai Samuel G. Quahog.
Harry guardo il Primo Ministro, preoccupato, ma quando lo vide sorridere capì che non li avrebbe traditi.
"Prima di tutto, scusati subito per il tuo commento razzista. E secondo, la signorina Granger ha ragione: la questione è troppa grossa e non ho intenzione di lasciare tutto in mano all'Organizzazione. Dobbiamo collaborare e lealmente. Con un voto infrangibile. Mettici dentro chi vuoi, ma questa volta non possiamo permetterci errori.
Dolohov è solo la punta dell'iceberg. Sai benissimo che qui non si tratta più di un folle visionario al comando. Stiamo parlando di una società segreta che vuole sovvertire a livello mondiale le nostre regole. Avete usato La Granger e Malfoy per arrivare su una pista, una traccia, ma vi è andata male e io non permetterò che mandiate al macero la loro vita. Non quella di Hermione, perlomeno. Malfoy ha fatto la sua scelta."
Hermione ingoiò un boccone amaro.
"Non è il caso di parlarne davanti a due pivelli!"
"I miei miglior pivelli, Samuel."
Harry l'avrebbe baciato. Hermione si limitò a tornare a fissare il vuoto.
L'Organizzazione, Quahog... solo qualche nemico in più da cui guardarsi.
"Ne riparleremo. Adesso sistemiamo questa faccenda: la signorina Granger non è più ospite gradita in questo paese."
"Faremo come hai detto." Fece Kingsley.
"Harry sarà il mio presunto cugino: non voglio nessuno della vostra Organizzazione al mio fianco. Se credete potrete seguirci da lontano. Sei d'accordo Harry?"
Potter annuì.
"E scriverò di mio pugno la dichiarazione: non sono un pappagallo e sono abbastanza intelligente per fare da me."
"Questo non è possibile!" Ribatté il Presidente, sbattendo il pugno sul tavolo.
"Oh sì che lo è! Basterà farmi avere il falso identikit." Proseguì Hermione fissandolo con sfida.
Harry vide una vena contrarsi furiosamente sulla tempia dell'uomo e pensò che Hermione forse stava un filino esagerando.
"Lo scriverà da sola, ma con la supervisione di una persona di nostra fiducia." Disse infine l'altro, che non aveva tempo per stare a questionare con una ragazzetta saccente.
Hermione sebbene accecata dalla rabbia, rimaneva pur sempre Hermione Granger per cui, moderando il tono disse: "Va bene. Supervisione non vuol dire censura, però. Posso indicare anche io qualcuno?"
Il Presidente alzò un sopracciglio, sorpreso.
"Vorrei che il mio supervisore fosse Lucilla Star o come diavolo si chiama."
"Lucilla Star? E perché mai? Una recluta tutto sommato troppo giovane..."
"Perché lei ha passato mesi a studiarci e a suo modo ci conosce." Disse Hermione.
L'uomo parve rifletterci sopra e disse: "Ne parlerò con il suo capo. Entro sera avrà la mia risposta. Questi signori tra poco vi daranno informazioni su dove farvi vedere in giro e come. Entro poche ore avrete la pozione che consentirà a Potter di trasformarsi in suo cugino. Direi che vi conviene pensare a qualcosa di appropriato da indossare, visto che questa sera andrete a teatro e poi a cena: a Broadway danno Les Misérables. Potrebbe piacervi." E con un sorriso beffardo se ne andò.
Harry sentì l'amica sussurrare: "V'è nulla di più stupido del vincere; la vera gloria sta nel convincere."
"Hermione non avresti dovuto irritarlo a quel modo! Capisci che adesso non ti lasceranno in pace fino a quando non saranno certi che non hai in mano niente che possa danneggiarli?"
"Non lo scopriranno mai. Forse tu avresti potuto esporti di più, Kingsley! Il potere ha già smussato la tua tempra morale?" Rispose la ragazza furiosa.
"No. Se non ho detto nulla di Dolohov è perché eravamo sulle sue tracce e non volevamo metterlo in allarme. Ma poi..."
"Poi si è volatilizzato. Negli Usa." Concluse Harry, accasciandosi sfinito su una sedia.
"Quindi la venuta di... la sua venuta a New York dopotutto non è stata un atto di carità, vero Kingsley? Tornava utile anche a voi stare a vedere se qualcuno avrebbe cercato di contattarlo. Immagino che Narcissa non fosse al corrente proprio di tutto..."
Il Primo Ministro sostenne il suo sguardo: "Non proprio tutto, no."
Hermione volse lo sguardo verso la finestra, mettendo fine alla conversazione.
La neve che tanto l'aveva affascinata si stava trasformando in una poltiglia fradicia e disgustosa. Come la sua vita, come il mondo che adesso avrebbe dovuto affrontare. Da sola.
Si strinse le ginocchia tra le gambe.
Dal corridoio sentiva il mormorare di Harry e Kingsley e avrebbe urlato se fosse rimasta abbastanza aria nei polmoni, ma doveva risparmiare le forze, doveva ritrovare il suo centro.
"Hermione vuoi mangiare qualcosa? Sei digiuna da questa mattina." Le chiese Harry tornando in cucina.
"No, tanto andremo a cena."
"Hermione..."
"Harry non mi lascerò morire di fame, se è questo quello che ti preoccupa. Piuttosto... dobbiamo parlare. Mi andrebbe un caffè." Rispose lei secca.
Harry fece il caffè e poco dopo si sedette di fronte a lei con due tazze fumanti.
"Parliamo."
"Dobbiamo cancellare la memoria a Ron." Sputò fuori lei senza preamboli.
Harry si ingozzò con il caffè e prese a tossire.
"Cosa?!" Esclamò quando si fu calmato.
"Cosa ha detto quanto ha letto gli articoli?"
"Ecco, lo conosci, lui..." balbettò Harry.
"Appunto. Me lo immagino mentre, saltellando come un gatto per la stanza, starnazza ai quattro venti: "Ve l'avevo detto, ve l'avevo detto." Capisci da solo che non potrei sopportare neanche un istante di ascoltare le sue cazzate."
Harry la fissò sbalordito: mai, mai aveva sentito Hermione parlare così di Ronald.
"Non guardarmi come un pesce lesso. Pensaci bene: lo conosci bene anche tu. Quanto tempo ci metterà ad andare in giro a dire che non ho nessun cugino babbano che vive a New York? Magari non volontariamente, ma in un momento di ira potrebbe mandare tutto a monte. Ti devo ricordare quando ci ha mollato in quella schifosa tenda?"
"Hermione, capisco che sei sconvolta, ma stai esagerando! Era un ragazzo ed era manovrato dall'Horcrux!"
"Aveva la nostra stessa età, Harry. Ho passato tutta la vita a giustificarlo, ma adesso non ho tempo di stare dietro ai suoi drammi. Non abbiamo tempo. Non voglio dovermi preoccupare anche di lui. Il problema è capire con chi si è confidato. Con George per certo. Anche a lui dovrà essere cancellata la memoria e per quanto riguarda le ragazze... bè... non sono certa che tante persone dovrebbero essere al corrente del nostro segreto. Io direi che Ginny è ok, ma le altre... no."
"Hermione ti prego! Calmati. Non puoi tagliare tutti fuori: avrai bisogno del loro aiuto."
"Per far che cosa? Per piangere sulle loro spalle? No. Non ho intenzione di disperarmi , Harry. Non ho bisogno di piangere, ho bisogno di agire."
"Che intendi?" Chiese Harry allarmato e stravolto da quella conversazione surreale.
"Che devo trovare il modo di essere libera."
"Libera? E da cosa?"
Hermione rise amaramente.
"Da tutti. Io non voglio rendere conto a nessuno, non voglio che mi si dica cosa, come e quando. Voglio essere semplicemente io. E per farlo devo combattere. Ancora. Devo concentrarmi e cambiare le cose dall'interno. Io voglio vivere in un mondo diverso, Harry. Un mondo dove qualcuno non può arrogarsi il diritto di mettermi con le spalle al muro."
"Ma non puoi pensare di smantellare l'Organizzazione! Questa è funzionale, a suo modo, all'equilibrio." Obiettò Harry con un pesante mal di testa che gli premeva sulle tempie.
"Ma io non voglio eliminarla. Voglio avere abbastanza potere da giocare ad armi pari."
"Tutto per Malfoy? Hermione..."
La ragazza alzò una mano per zittirlo.
"Se da un giorno all'altro qualcuno venisse e ti portasse via Ginny che faresti, Harry? Non muoveresti mari e monti per riprendertela? E ti ricordi quanta rabbia ti portavi appresso quando hanno cercato di usarti e manipolarti? Quando hai lasciato Ginny per non permettere a nessuno di usarla contro di te? Lo stanno facendo ancora, Harry. Ci dicono solo il necessario e ci chiedono di sacrificarci senza neanche sapere perchè. Io non ci sto. E non solo per Malfoy, noi alla fine non eravamo niente, se... Io lo voglio fare per me. Voglio combattere per me e..."
"E anche per Malfoy. Se ne è andato per proteggerti, per darti un'occasione." Fece Harry dolcemente.
Un'occasione.
Il viso di Hermione si corrucciò.
Perché questa parola le ricordava qualcosa? Qualcosa di importante che doveva assolutamente recuperare dalla memoria. Ma più ci pensava più si scontrava con un muro.
"Hermione? Tutto bene?" Chiese Harry osservando lo sguardo smarrito dell'amica. Che stesse ricordando tutto? No, era troppo presto!
"Sì. Comunque, io voglio tornare operativa." Si riprese Hermione.
"Vuoi diventare un Auror?"
"No, sai, ci ho pensato: credo che anche il nostro Ministero abbia qualcosa di simile all'Organizzazione. Sono stata veramente un'idiota a non pensarci prima. Come nel mondo babbano ogni paese ha una propria Agenzia di Intelligence, così anche le varie comunità magiche."
"Bè, non deve essere un corpo d'elite, visto com'è andata a finire con Voldemort."
"Già, ma forse adesso è diverso, no? Comunque chiederò a Kingsley: non potrà dirmi di no. E se non ci fosse niente di simile voglio comunque far parte della squadra. Voglio esserci."
"Sei certa che Kingsley te lo permetterà?" Chiese Harry scettico.
"No, ma saprò essere convincente. Cosa farai con Ron?" Disse infine Hermione tornando all'inizio del discorso.
"Sei sicura? In tre abbiamo sempre lavorato bene."
"E continueremo a lavorare insieme, ma Lui non deve essere al centro sui suoi pensieri."
"Io... ci penserò. Per le ragazze, va bene. Ginny non ne sarà felice, ma hai ragione. Troppe persone che potrebbero tradirsi."
"Bene." Rispose Hermione.
"Hermione promettimi che non ti lascerai indurire da questa storia. Tu non sei spietata."
"Forse dovremmo esserlo, Harry. Forse è arrivato il tempo di smetterla di essere solo delle brave persone." E così dicendo uscì lasciandolo solo con i suoi pensieri.
La sua solitudine non durò a lungo, perché mezzora dopo gli uomini dell'Organizzazione tornarono a far loro visita portando con sé il necessario per trasformare Harry nel cugino Robert, uno spilungone biondo, dai tratti vagamente somiglianti a quelli di Draco Malfoy.
Nessuna pozione Polisucco, ma un intricato reticolo di incantesimi di trasfigurazione compì il miracolo.
"Ecco il vostro programma. Noi vi seguiremo passo passo, ma non ve ne accorgerete. Non dovrebbero esserci problemi, ma siamo pronti ad intervenire. Nella tasca del suo cappotto, signor Potter, troverà un inserto per la bacchetta e lo stesso lei , signorina Granger.
Attenetevi scrupolosamente al programma e non fate colpi di testa. Non sappiamo cosa ci sia là fuori e bisogna essere prudenti. Il musical inizia alle ventuno: avete due ore per prepararvi e uscire. Troverete i vestiti nella scatola: sono impregnati di incantesimi di protezione."
"Perché tutte queste precauzioni? Andremo nel mondo babbano, non in covo di maghi oscuri!" Chiese Harry.
"Se in un colpo solo Harry Potter e Hermione Granger dovessero morire sul nostro suolo sarebbe un gran casino, signor Potter. Le precauzioni non sono troppe."
"Capisco." Si limitò a dire Harry fissandosi nello specchio e cercando di abituarsi al suo nuovo aspetto.
"Cercate di mettervi in zone illuminate in modo tale da poter offrire il volto ai fotografi. Fate gesti naturali e spontanei, niente di artefatto. Siete cugini, non vi vedete da molto e vi state divertendo."
"Sarà difficile divertirsi al musical scelto per noi dal vostro amabile Presidente." Fece Hermione caustica.
"Signorina Granger cerchi di non avere quella faccia, altrimenti tanto vale mandare a monte tutta l'operazione. Crede di essere in grado di fingere? Se non se la sente un nostro operatore può prendere il suo posto in qualsiasi momento. Basterà un attimo..." Intervenne un uomo dall'aria malaticcia.
Hermione gli scoccò un'occhiata di fuoco liquido.
"Mi divertirò moltissimo a vedere Fantine morire di stenti a causa della società moralista e bigotta e della crudeltà degli uomini."
L'uomo annuì incurante della frecciata e riprese a dare indicazioni.
Dopo due ore un finto taxi li aspettava per portarli a Broadway. Harry osservava affascinato il paesaggio scorrere fuori dai finestrini. Non aveva mai messo il naso fuori dall'Inghilterra e non poté fare a meno di sentirsi il topo campagna che andava a trovare il parente nella grande città, proprio come in quella storia che aveva letto anni e anni prima.
Sarà stato anche un eroe in patria, ma lì non era proprio nessuno. Il Presidente non aveva parlato a sproposito. Seduto su quell'auto giallo, il naso appiccicato al finestrino, si chiese, per la prima volta, se tutto ciò che aveva imparato, fatto, sperimentato sarebbe bastato ad affrontare un mondo vasto come quello. E, soprattutto, se aveva davvero la voglia di farlo.
Le parole di Hermione lo colpirono come un pugno allo stomaco. Si stava giocando una partita di cui non conoscevano le regole e a cui nessuno li aveva invitati. Ci erano semplicemente caduti dentro. Ne valeva davvero la pena?
Si girò verso Hermione che, con la fronte appoggiata al finestrino, guardava fuori con sguardo lontano.
E la rivide fragile come non gli capitava da tempo. Persa. Ma lui non voleva perderla, no davvero. E maledisse Malfoy per averla trascinata lontano dalla sua protezione.
Le prese una mano.
"Ce la faremo anche questa volta." Sussurrò.
Hermione non rispose, ma la sua mano lo strinse forte.
Il teatro scintillava nella notte, mentre una folla di persone attendeva di entrare.
Si misero pazientemente in coda e dopo circa venti minuti riuscirono ad entrare. Nonostante la rabbia, la stanchezza e il peso che si trascinavano appresso non poteremo fare a meno di rimanere incantati da quella atmosfera magica.
Hermione rivolse un sorriso sorpreso a Harry e nascosto nel buio un fotografo iniziò ad immortalarli.
Quando le luci si spensero la magia del musical li trascinò con sé.
Dopo un'ora Harry pensò che il Presidente del Macusa doveva proprio essere un sadico bastardo per averli costretti ad assistere ad uno spettacolo tanto triste.
Hermione al suo fianco piangeva silenziosamente: la scena di Fantine che si faceva strappare i denti era stata la goccia che aveva fatto traboccare quel vaso ricolmo di tristezza e angoscia che la ragazza aveva cercato in tutti i modi di non far tracimare.
"Lo affatturerò alla prima occasione..." mormorò Harry, con un pugno conficcato nello stomaco.
All'improvviso Hermione si appoggiò sulla sua spalla per nascondere nella stoffa i singhiozzi ormai incontrollabili.
Harry decise che ne aveva abbastanza e vaffanculo alla prudenza!
"Andiamocene!" Disse perentorio ad Hermione.
La ragazza annuì e poco dopo, tra i mormorii irritati di decine di persone, guadagnarono l'uscita.
"Lo ammazzo, giuro che lo ammazzo!" Disse Harry esasperato.
Hermione corse in bagno e poco dopo Harry udì chiaramente un vetro andare in frantumi.
Preoccupato si guardò attorno, ma fortunatamente in quel momento il foyer era vuoto.
Quando Hermione riemerse dal bagno aveva gli occhi rossi, ma era sostanzialmente calma.
"Come stai?" Chiese Harry apprensivo.
"Come se le avessi prese con un bastone. Scusami, non volevo crollare, ma... ma..."
"Lascia perdere. Mi sento malissimo. Ricordami di non pensare mai più a Fantine per favore!" La interruppe lui, passandosi una mano tra i capelli.
Un uomo anziano uscì da una porta e si avvicinò loro.
Sia Harry che Hermione strinsero le loro bacchette nascoste nelle tasche.
"Dove diavolo pensate di andare! Non era questo il piano!" Disse con un sorriso, l'anziano signore.
"Io lì dentro non ci torno neanche morta!" Rispose Hermione sforzandosi di mantenere un tono affabile.
"E perché mai? Questa è una delle più grandi produzioni di Broadway!"
"E anche la più triste probabilmente..." Fece Harry.
L'uomo sorrise affabile.
"Siete veramente dei bambini! Va bene... andiamo a cena. Tra cinque minuti uscite dal teatro e troverete il taxi." Disse il vecchio congedandosi con un sorriso e un piccolo inchino.
I due giovani lo osservarono allontanarsi e poco dopo uscirono nell'aria gelida della notte.
Come preannunciato un taxi li stava attendendo. Senza attendere indicazioni l'autista mise in moto appena chiuse le porte.
Il taxi li condusse al The View Restaurant & Lounge. Si trattava del famoso ristorante girevole a Time Square e una volta arrivati al quarantottesimo piano del Marriott Marquis non poterono fare meno di spalancare occhi e bocca per la vista mozzafiato che avevano di fronte.
Un cameriere corse ad accoglierli.
"Avete una prenotazione, signori?" Chiese l'uomo gentile.
Hermione scambiò un'occhiata con Harry e quest'ultimo prontamente rispose: "Sì, un tavolo per due a nome Robert Granger. Siamo un po' in anticipo... sa i Miserabili erano un po' troppo, ecco, forti per i nostri nervi."
Hermione assunse un'espressione contrita e il cameriere allargò un sorriso: "Capisco. Non c'è problema il tavolo è libero. Seguitemi."
E così facendo li fece accomodare davanti ad una delle vetrate.
Una volta seduti percepirono meglio il movimento del piano che, lentamente, ruotava offrendo una vista a 360 gradi sulla città.
"Sei stato bravissimo, Harry!" Fece Hermione con un sorriso.
"Dovresti chiamarmi Robert, Hermione. Non mandiamo tutto all'aria." Fece Harry, voltandosi a guardare le luci della città.
Hermione fece lo stesso e per un attimo rimasero sprofondati nei loro pensieri.
"Come ti senti? Meglio?" Chiese dopo un po' Harry.
Hermione annuì e rispose: "Ma non ho molta fame."
"Devi sforzarti. Sicuramente ci saranno fotografi appostati e dobbiamo fingere di..."
"Hermione Granger!?" Lo interruppe una voce spaventosamente famigliare.
Entrambi si girarono sorpresi e quasi caddero dalle sedie quando si trovarono davanti niente di meno che Pansy Parkinson. La sua figura snella risaltava in un abito di alta sartoria, la cui bellezza era messa ancor più in evidenza da preziosi gioielli dall'aria molto antica. Peccato che Pansy avesse sempre la solita faccia da carlino rabbioso.
Hermione si sforzò di dire qualcosa, ma il cervello sembrava essere stato scollegato dalla bocca.
"Non posso crederci! Non dovresti essere in giro con Draco Malfoy? I giornali non parlano d'altro! Che combinazione trovarti proprio qua! E questo..." disse Pansy lanciando uno sguardo schifato al suo accompagnatore "chi diavolo è? Dov'è Draco?"
Un calcio agli stinchi la fece ritornare presente a sé stessa.
"Pansy, non posso dire che sia un piacere... comunque, questo è mio cugino Robert. Studia all'Università di New York. Il figlio del fratello di mio padre. E non capisco perché, tra tutti, dovrei essere qui proprio con Malfoy!"
Pansy rise in maniera sguaiata.
" Ma davvero, Granger? Pensi davvero che sia così cretina da credere che non sai nulla del putiferio che si è scatenato nel mondo..."
"Pansy! Non è che hai alzato un po' troppo il gomito? Fai veramente discorsi strani." La interruppe Hermione, lanciando un'occhiata significativa verso il cugino Robert.
"Oh! Lui è... cioè non è..." balbettò la ragazza, per poi scoppiare di nuovo a ridere.
"Hermione chi è questa ragazza così sgradevole?" Fece Robert asciutto.
"Una mia compagna di scuola..."
"La scuola per geni che hai frequentato fino allo scorso anno? Ma non mi sembra molto..." Disse Robert con un sorrisetto ironico.
"No, infatti."
"Scuola per geni? Ah... capisco. Ti do un consiglio, Granger: appena possibile fai una telefonata a casa. Adesso che guardo meglio questo coso non capisco come abbiano fatto a scambiarlo per Draco. Lo sapevo che uno come lui non avrebbe mai potuto avere una relazione con una San... ehm... una come te."
"No, infatti. Non sarei mai andata con uno che prima se l'è spassata con te!"
"Ma come diavolo ti permetti?"
"Come si permette lei, signorina! Ci sta disturbando e dovrebbe proprio andarsene!" Intervenne Robert.
"Oh! Ma davvero? Peccato che questo locale sia mio. Quindi siete voi che dovete andarvene! Voi non siete ospiti graditi!" Sorrise lei maligna.
Hermione sgranò gli occhi.
"Già, Granger. Mio padre mi ha comprato questo gingillo per allontanarmi dall'Inghilterra dopo che... dopo la scuola. Ha buoni amici e molti soldi e gli è sembrata una buona idea. E a quanto pare ci so fare nel mio lavoro. Certo, io avrei voluto farlo diventare un ristorante di elite, non so se mi hai capito, ma qua le cose funzionano diversamente e mi sono dovuta adattare. Quando ho letto il cognome di coso sul quaderno delle prenotazioni non pensavo di trovarmi davanti te. Ancora non ci credo che tu non sappia nulla!" E ricominciò a ridere.
Hermione assunse un'aria corrucciata.
"Mi sento buona questa sera e perciò ti darò un indizio: ti hanno fotografata in aeroporto insieme a tuo cugino e l'hanno scambiato per Malfoy! Ci puoi credere? Ma la cosa bella è che adesso sei sulla cresta dell'onda, Granger!"
"Chi diavolo è questo Malfoy? E poi che razza di nome ha? Se è uno scherzo non fa ridere!" Intervenne il cugino.
"Un altro compagno di scuola. Un pessimo elemento." Disse Hermione nervosa.
"Lo sapevi che era qui a New York? Io no: la cosa deve essere stata tenuta nascosta. Nel nostro ambiente nessuno ne sapeva nulla e adesso sono tutti in subbuglio."
"Nel tuo ambiente?" Chiese Hermione.
"Certo, quello delle più antiche famiglie ma... di New York. Le più nobili, ecco."
"Capisco." Fece Hermione, tormentandosi la collana.
"No, non capisci. Sei rovinata, Granger e la cosa mi diverte molto. Ma adesso ve ne dovete andare."
"Noi non andiamo da nessuna parte. Ho prenotato e voglio mangiare. Come li trattate i clienti?" Protestò Robert, indignato e confuso.
"Lascia perdere. Mi è passata la fame. Andiamocene." Fece Hermione con tono greve.
"Brava, vedo che hai capito, Granger. Qui non conti un cazzo."
"La smetta! Come fanno a farle gestire un locale? Lei deve essere drogata!" Protestò Robert.
Tutti si girarono a guardarli e Hermione si accorse che alcuni avventori la fissavano con tanto d'occhi e poco dopo per la sala si moltiplicarono i sussurri con il suo nome.
"Andiamo, Robert. Non senti che odore di spazzatura?" Disse lei ad alta voce, prendendo Robert e spostandolo dove tutti potessero vederlo.
"L'unica puzza che si sente qua, è la tua, Granger. E adesso fuori dai piedi!" Sibilò Pansy.
Hermione prese Robert per un gomito e lo condusse verso l'ascensore.
Una volta dentro, Robert, dando uno sguardo alle telecamere, prese a protestare vivacemente, mentre Hermione tentava invano di calmarlo.
Non appena usciti un taxi si avvicinò al marciapiedi: era lo stesso che li aveva accompagnati all'andata.
Senza battere ciglio risalirono sull'auto e solo lì tirarono un respiro di sollievo.
"Era tutto calcolato! Lo sapevano che lì avremmo incontrato la Parkinson!" Disse Harry furente.
"Non solo lei. Nella sala c'erano anche parecchi maghi e streghe."
"Me ne sono accorto e anche loro si sono accorti di noi. Non male come idea: così domani tutta la città saprà dello scambio di persona."
"Semplice ed efficace. E la Parkinson non vedrà l' ora di dare a tutto il suo ambiente la notizia di aver sbattuto fuori a calci la Sanguesporco Hermione Granger dal suo locale."
"La Parkinson è rimasta la solita razzista demente. Non so come faccia a gestire un ristorante!"
"Con i galeoni del padre e dei suoi amici ricconi, no? Fa comodo avere qualcuno dei loro nella società non magica." Rispose Hermione, sfinita.
Arrivati davanti a casa, trovarono un uomo ad attenderli.
"Avanti, andiamo! Togliamoci dalla strada", disse quello sbrigativo e per una volta nessuno dei due protestò.
L'uomo si assicurò che la casa fosse libera e li fece entrare, chiudendosi poi la porta alla spalle.
"Siamo in trappola. Non lasciano niente al caso, questi stronzi." Fece Harry che aveva ritrovato il suo aspetto.
"No, infatti. Ci manipolano a loro piacimento, senza che noi possiamo alzare nemmeno un dito!" Disse Hermione di nuovo furiosa.
"Vieni, cuciniamo qualcosa. Sto per svenire." E così dicendo si diresse in cucina.
Improvvisarono una cena frugale e una volta sbocconcellato quello che avevano nel piatto, Hermione disse di essere sfinita e di voler riposare.
"Hermione... dimmi che non farai cazzate, per favore. Devo assolutamente dormire e non potrei sopportare un'altra notte in bianco a farti la guardia." Fece Harry con un sorriso, stanco.
"No, per questa sera non farò cazzate." Rispose lei.
"Posso farti un po' di compagnia? Non voglio stare da solo a fissare il soffitto."
Hermione lo guardò un attimo e poi annuì.
Andarono nella camera da letto di Draco e a Hermione mancò un battito nel sentire il tenue profumo della colonia di Malfoy. Ricacciò indietro le lacrime e si diresse verso il bagno.
Harry si lasciò cadere a peso morto sul letto, le braccia dietro la nuca.
Era preoccupato per Hermione, ma anche in pensiero per Ginny, sola a casa, senza notizie. Sapeva che neanche lei doveva aver chiuso occhi in quei giorni.
Cosa avrebbe dato per parlarne per pochi minuti!
Poi si vergognò di quel pensiero: non doveva assolutamente lamentarsi della cosa con Hermione. Solo adesso comprendeva davvero come dovesse sentirsi la sua migliore amica. Persa.
"Vatti a dare una ripulita e a metterti qualcosa di più comodo," Fece Hermione uscendo dal bagno con addosso una delle sottovesti che Ginny le aveva ficcato nella valigia.
Harry deglutì: non l'aveva mai vista così, ehm, sexy.
Fortunatamente la ragazza si gettò sopra le spalle una felpa sformata di Malfoy, coprendo le sue grazie alla sua vista.
Si alzò di scatto e si chiuse in bagno.
Hermione andò vicino alla finestra e appoggiò la fronte sul vetro gelido, portandosi la manica della felpa al naso. Mille spille le trafissero il cervello. Malfoy era lì su quel polsino liso.
Chissà cosa stava facendo Draco in quel momento, dove diavolo era. Stava bene? Lo avevano portato lontano da New York? Chissà se la stava pensando con la sua patetica intensità. Chissà se per lui era significato davvero qualcosa...
"Hermione?" La voce incerta di Harry la riscosse dai sui tetri pensieri.
" Puoi dormire con me, questa notte? Non voglio stare sola." Disse lei di getto, con voce rotta.
"Guardo che russo!" Rispose Harry un po' imbarazzato.
"Potter ho dormito insieme a te per un anno, vuoi che non lo sappia?" Fece lei con un sorriso triste.
Harry annuì e si infilò nel letto, un po' a disagio. Dormire in tenda con quattro strati di vestiti addosso era una cosa, infilarsi nel letto con Hermione in camicia di seta, tutta un'altra.
"Sei un cretino, idiota, imbranato." Mormorò tra sé e sé.
Hermione scostò le coperte dalla sua parte del letto e gli si accoccolò sul petto. Poco dopo Harry capì che stava piangendo. La mano destra corse ad accarezzarle i capelli. Come tante altre volte aveva fatto, nel segreto di angoli bui.
Non disse niente e continuò ad accarezzarla finché, sfinita, non crollò addormentata.
Solo allora si permise di chiudere gli occhi.
Lasciò che i ricordi si radunassero alle soglie della memoria. Non gli piaceva indugiare su quelle notti lontane, cariche di dolore e angosce. Le aveva chiuse da qualche parte. Da qualche parte dove i mostri, il male profondo, non potessero più uscire per incrinargli l'anima.
Ma quella sera si permise di indugiare su di essi.
Erano state le lacrime di Hermione ad aprire loro la porta. Le sue lacrime e quel dannato orgoglio che le impediva di spaccare tutto e urlare contro un muro: le avrebbe fatto bene.
E invece, fin da che aveva memoria, l'unica cosa che sapeva fare era raggomitolarsi in se stessa, per poi rialzarsi il giorno dopo come nuova, armata di una rabbia vendicatrice che faceva male soprattutto a lei.
Solo lui l'aveva vista annegare, solo a lui era stato concesso quel disgraziato privilegio.
Ed era la sua spalla che cercava quando l'aria mancava, era il suo abbraccio che sapeva consolarla, erano i suoi maldestri e impacciati tentativi di conforto che placavano quei demoni che le si agitavano dentro. Era lui che metteva a tacere quella voce bastarda che le sussurrava di non essere mai abbastanza.
Come quella notte in cui l'aveva fatta ballare in una tenda fradicia di pioggia e lontananza.
Lui goffo, lei con occhi grandi come fanali, in un viso smagrito e consunto dalla preoccupazione, corpi sfiniti che però volevano bruciare ancora. Quella notte in cui entrambi, per una frazione di secondo, avevano ascoltato i sussurri delle reciproche solitudini e pensato di scacciare quel gelo incastrato nella spina dorsale con un fuoco effimero: un lieve sfiorarsi di labbra, un unico bacio al sapore di disperazione. Occhi negli occhi per riuscire a riconoscersi nonostante tutto. Niente di più.
Non ne avevano mai parlato: avevano seppellito quell'innocente tentativo di sentirsi vivi sotto una coltre di imbarazzo.
Harry si maledì per non esserci stato, per non aver avuto l' energia per rimanerle accanto quanto la sua forza di volontà si era sgretolata. Lui non c'era e Malfoy aveva preso il suo posto. Aveva occupato tutto lo spazio lasciato libero dalla sua assenza e anche di più. Forse, si disse, se non fosse stato così concentrato a rimettersi insieme lui stesso giorno per giorno, niente di tutto ciò sarebbe accaduto. E Hermione non avrebbe avuto bisogno di farsi di nuovo piccola tra le sue braccia.
Alla fine non erano cambiato niente: sempre loro due a masticare il buio di notti infinite per non esserne fatti a pezzi.
Note
Non scrivo mai pensando ai film, ma sempre ai libri della Rowling. Ma la scena del ballo sulle note di "O' Children" di Nick Cave, mi è sempre piaciuta, l'ho trovata giusta. (Una canzone tristissima, in linea con la poetica musicale di Nick Cave e dei suoi deliri religiosi.)
E ho sempre pensato che due adolescenti disperati e soli, in una tenda puzzolente, con la morte alle calcagna, il cuore e la speranza a brandelli, forse un pensiero reciproco l'avrebbero fatto. Non per amore, per disperazione e paura, appunto. Ma anche per curiosità. Quel dubbio legittimo che ti fa dire, perchè no?
Così è nato il ricordo di Harry: lui che consola Hermione ogni benedetta volta che Ron con il suo infantilismo la ferisce a morte. Peccato che questa volta la causa di tutto sia Malfoy.
La parte finale del capitolo è completamente ispirata alla canzone "NON" degli The Zen Circus di cui consiglio con tutto il cuore l'ascolto. Fatelo e farete un viaggio meraviglioso e catartico.
Insomma... la situazione si fa pesa e tetra.
Cit. da "I Miserabili" di Victor Hugo.
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MILLENNIUM BUG - From New York to London and Back
Fiksi PenggemarQuesta è il secondo capitolo della Trilogia "TIENIMI LE MANI, NON ANNEGHERAI" il cui titolo deve i suoi natali alla Canzone "Niente di Speciale" de Lo Stato Sociale - Album Amore Lavoro e Altri Miti da Sfatare - 2017. Millenium Bug è la continuazion...