Capitolo Nono

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TW: scene di violenza, abuso minorile.

Harry, Edimburgo, 1996.

La colazione salata era la mia parte preferita di un viaggio. C'erano molte cose che mi piacessero del viaggiare, ma tra quelle non erano affatto compresi il dover stare con mia madre, mio padre e mia sorella. Mangiavo spesso uova e bacon, una banale americanata, sicuramente, ma era il sapore della mia infanzia e dei più disparati luoghi in cui il "lavoro" di mio padre arrivava a portarmi.

Edimburgo era un posto che frequentavamo spesso, soprattutto durante l'autunno. L'aria che si respirava era quella dei film, d'altronde, una preparazione ad Halloween e al Natale. Amavo le festività, da piccolo. Era come se potessi esprimere la mia creatività senza alcun timore vestendomi con maglioni dalla fantasia discutibile e travestimenti che non avessero molto a che fare con il mondo della virilità. A mio padre non piaceva, ma mia madre insisteva affinché mi esprimessi senza paura. Fu l'ultimo Halloween che passai con lei.

Quella colazione durò decisamente troppo per i gusti di mio padre. Mia sorella, Elle, era solita sporcarsi sempre il vestito, cosa che faceva spesso commentare mio padre con cose del tipo: "Ma che genere di animale abbiamo cresciuto? Pensavo fossi una donna." Era qualche anno più grande di me, in realtà. Non abbiamo mai stretto un rapporto molto forte. Ricordo che il mio cercare di essere sempre il suo centro dell'attenzione le dava non poco fastidio, soprattutto quando doveva studiare. Una volta addirittura indossai malamente un suo reggiseno, sopra la mia maglietta, pur di avere un minimo di risate e gioia da condividere con lei. Inutile dire che finì con lei che se ne lamentò con mia madre, la quale fu ascoltata da mio padre per puro errore, e la sua grande mano colpì il mio viso paffuto, urlandomi qualcosa di simile a: "Fai l'uomo, per una buona volta nella vita." Forse disse altro, in realtà. Forse fu più pungente ma la parte peggiore tra quelle che ricordo erano le nottate nel suo studio, durante le quali i suoi curati baffi bianchi si curvavano in modo sinistro, mostrando un ghigno di piacere nel vedermi cadere pian piano. Non sapevo dove fosse mia madre, ogni volta che accedesse. Era andata via. Lui diceva che comunque non mi avrebbe mai creduto, quindi non gliene parlai mai. Avevo rispetto di mio padre, o forse temevo i suoi attimi di violenza più di qualsiasi altra cosa. Ero sempre stato accecato dall'immagine della famiglia perfetta che vedeva un nucleo come completo soltanto se avente a capo un uomo, di mezz'età e con un lavoro che potesse mantenere l'intera famiglia, senza che si facessero ulteriori domande.

Elle aveva indosso un abito rosa perlato, scelto accuratamente da una sartoria di alta qualità, che consegnava personalmente gli acquisti di mio padre a quest'ultimo, solo per la nomea di cui disponeva.
"Padre, quando posso tornare a leggere? Ho finito la colazione e dovrei cambiarmi." Disse Elle, coprendo con le mani la macchia di burro sciolta e penetrata nel tessuto.

"Puoi alzarti, Elle." Rispose Desmond, mio padre, alzandosi a sua volta e dirigendosi alla reception per pagare la colazione.

Quella giornata proseguì tra lamenti da parte di mio padre riguardo il fatto che avessi messo male il papillon color crema, candido come la mia pelle che raramente assumeva un colore che ricordasse i baci del sole, fino circa alle ore quindici, quando il sole di punta scomparve, o forse nemmeno si fece vedere per davvero.

Il telefono della stanza nella quale alloggiavamo squillò con insistenza, mentre mio padre consumava il suo grosso sigaro alla vaniglia. Una volta gliene rubai un tiro. Volevo capire cosa ci trovasse di così bello e rilassante. Inutile dire che finii per strozzarmi, ingenuamente.
Dietro l'altro capo del telefono, sentii la stessa voce della donna che lo aveva servito in reception.

"Signor Styles" il robotico tono suonava urgente "Ci sono uomini che chiedono di lei. Mi hanno detto di riferirle una certa parola d'ordine. Fenice." Girai il capo nel sentire quella parola. Mio padre aveva una sorta di fissa con le fenici. Casa nostra era tappezzata di grafiche di quest'ultime, in maniera spesso poco inerente con il design del resto. Per essere la dimora di una famiglia agiata aveva ben poco gusto, avevo sempre pensato. Diceva di trovare affascinante come nella mitologia fossero capaci di rinascere dalle loro stesse ceneri. Sosteneva di essere una di esse, sotto forma umana, e di riuscire a rialzarsi ogni volta che qualcuno tentasse di fare del male a lui o alla sua famiglia, che tanto millantava di amare e mettere al centro di tutta la sua vita. Io lo trovavo un pensiero nettamente narcisista.

Eleven ➳ l.s.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora