Harry, Londra, 2012.
Non sapevo esattamente cosa fosse accaduto tra il barista e me, quella notte. Mi addormentai ringraziandolo, o almeno così credetti. Ero stanco come poche volte e di certo non sentivo che dolore in ogni parte del corpo. Avevo paura di morire, da una parte, ma dall'altra l'idea non mi spaventava troppo. Mi era balenato in mente di lasciarmi andare, anche solo per un attimo, anche solo per provarci, ma avevo cominciato a immaginare Louis che mi trovava in quel lugubre angolo, pieno di bava alla bocca come un povero drogato, tra pozze di sangue e bile che non riuscivo a immaginare fosse tutto mio.
Il mattino seguente, però, mi svegliai con antidolorifici e medicinali di ogni tipo sul comodino. Di lui non c'era l'ombra. Solo la sua parte di letto, con le lenzuola arricciate ai piedi e un posacenere pieno di sigarette spente, ricordavano il suo passaggio. Realizzai di essere lì, effettivamente. Era come essermi appena materializzato in un Eden di attenzioni non esattamente richieste. Ero io solitamente ad attirare le donne a me. Gli uomini erano esclusivamente un vizio, o almeno così lo chiamavano molti intorno a me. Non era un segreto quanto qualcosa di cui non si parlasse. Alcuni sapevano, altri no. E gli altri avrei preferito non sapessero. Non mi vergognavo di chi fossi ma temevo le ripercussioni che questo avrebbe comportato da parte di mio padre, su di me e sulla mia azienda.
Presi del tramadol per calmare il dolore, altro antibiotico e qualcosa per la nausea. Sotto un bicchiere colmo di acqua, trovai un suo messaggio.
Ora sono io quello dei bigliettini. Prendi tutto nelle dosi giuste, non di più, non di meno. La tempesta è finita, sono fuori in giardino.
- LGuardai fuori. In effetti la tempesta era terminata per davvero. Un sole che avrebbe potuto spaccare le pietre illuminava Lancaster Gate. Sbloccai il cellulare per controllare se avessi ricevuto chiamate ma non c'era nulla nel registro. Avevo, però, due SMS. Il primo era di Cooper.
Forse stanotte mi è venuto qualcosa in mente per il guaio che hai fatto. Ti aspetto da me in giornata. Avvisami mezz'ora prima di venire.
Il secondo era di Xander.
Non so che intenzioni tu abbia con Louis ma vorrei ne riuscissimo a parlare faccia a faccia, da soli io e te. Per le ventitré di domani da me. Non c'è Zayn.
I problemi ricominciarono a seguirmi, senza che io fossi riuscito nemmeno a disfarmi di quelli più vecchi. Non c'era bisogno di rispondere a Cooper ma a Xander sì. Era un messaggio del giorno prima, a differenza di quello di Cooper, quindi si riferivano entrambi al giorno corrente. Avrei dovuto incastrare quei due impegni in maniera pacifica.
C'era bisogno di specificarlo? Sarò fuori da casa tua, per quell'ora. E rimarrò fuori.
Spensi lo schermo, dirigendomi in bagno. Dopo essermi lavato e cambiato con dei vestiti puliti lasciati da Louis stesso, mi affacciai dal balcone, dal quale lo vidi parlare con qualcuno. Era il meccanico. La mia auto era finalmente lì. Un sospiro di sollievo mi placò l'animo. Una volta vestito, li raggiunsi, con una busta piena di roba insanguinata. Riuscii a fare il checkout prima. Avevo raccolto le sue poche cose in un'altra busta. "Buongiorno." Chinai il capo verso di lui. Mi sorrise appena di rimando.
"Signor Styles deve perdonarmi. Il danno era più grave di quanto sembrasse. Io e il mio team abbiamo lavorato tutta la notte." Lo capii.
"Va bene così, Gunter. L'importante è che ora non possa lasciarmi a terra. Lasciarci." Indicai Louis con la mano. Lo avrei accompagnato a casa, dove le nostre strade si sarebbero divise nuovamente, a tempo indeterminato.
"Perfetto, la ringrazio. È sempre un piacere lavorare per lei." Strinsi la sua mano gentilmente, lasciandolo andare.
"Hey." Sfiorai il suo braccio con il mio, quasi a voler tastare il terreno.
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Eleven ➳ l.s.
ФанфикLondra, 2012. In una città dal cambiamento costante, il giovane detective Harry Edward Styles, proprietario dell'agenzia di investigazione privata Styles Corp., si ritrova a dover lavorare a un caso in periferia, dove la criminalità e la povertà son...