Capitolo Diciottesimo

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Louis, Londra, 2003.

Avevo compiuto diciotto anni da poco. Sarei uscito di lì una volta terminato l'anno scolastico, ma i giorni in orfanotrofio erano diventati sempre meno tediosi e mi rendevo conto che quanto più riuscissi a stare con Lucas, meno il tempo passava lentamente. Nulla era più lineare, con lui. La notte non finiva mai e diveniva il giorno, sotto i nostri occhi e senza giudizi, poiché avere le mani unite significava non dover temere di affogare da soli in un oceano senza fondo. Mi innamorai, forse per la prima volta, forse per l'ultima, ma speravo sempre che non finisse mai, che quel ragazzo non si rivelasse diverso da com'era sempre stato, perché non vi era nulla di più bello del trovare in lui quella sicurezza mai sentita sotto i piedi. Quegli occhi di ghiaccio, chiari come le giornate d'inverno sotto la neve e la felicità di un famiglia che ti ama, contornati da quella chioma dorata e soffice, erano ormai l'essenza più rassicurante, come l'odore di biscotti in un mattino natalizio. Il corpo di Lucas diveniva sempre meno asciutto, con gli allenamenti di calcio, unica speranza che aveva di uscire da lì con un futuro roseo e una borsa di studio che gli avrebbe permesso un riscatto sociale distintivo. Io lo guardavo, ammirando quanto fosse bello quando si faceva la doccia, di spalle a me, mostrandomi quei deltoidi definiti, inconscio di quale effetto stesse crescendomi addosso alla vista di un ragazzo, come lui, il sole fatto persona, un uomo.

"Ho allenamento domani, verso le quattro. Ci saranno degli spettatori importanti, ho saputo da una soffiata. Ci tengo tanto che ci sia anche tu. Non voglio che giochi, solo che fai il tifo per me, a meno che non ti vada di fare il culo ai prossimi esterni", sogghignò. L'acqua gli passava addosso come la carezza di un dio. "Mi hai sentito?" Chiese abbassando il miscelatore verso la temperatura più alta, girandosi di fronte a me, nudo, adonico. Abbassai lo sguardo, imbarazzato. I ragazzi facevano la doccia insieme di continuo e non era nulla di strano, per loro. Non per chi non sentisse un'attrazione proibita, che ci insegnavano fosse una malattia quasi incurabile.

"No, no, ho sentito. Ci sarò, chiaramente. Pensavo fosse ovvio", risposi schiarendomi la voce.

"Beh, pensavo volessi qualcosa di più somigliante a un invito ufficiale, dati i pezzi grossi", alzò le spalle, venendomi incontro. "Non ti lavi? Sei pieno di terra fino alle ginocchia", mi fece notare. Avevamo giocato con la solita cricca, nel tentativo di prendere al volo le prime giornate di sole primaverile. Era marzo e finalmente non dovevamo più rintanarci nel retro dei vecchi bagni del dormitorio, pur di parlare senza timore.

"Aspetto che finisca tu. Le altre docce sono incrostate e non voglio sapere di cosa", borbottai, con un'espressione disgustata.

"Non serve. Siamo amici, no? Vieni, ti aiuto a pulire i graffi per quella brutta caduta". Non sapevo, in effetti, da dove cominciare per dirgli che non sarebbe stata affatto una buona idea, quella di averlo così vicino a me. Il terrore che una scossa di eccitazione istantanea mi potesse plagiare la mente, mi terrorizzò, rendendomi rigido.

"Okay...", accettai titubante, spogliandomi di quei vestiti ormai sporchi. "Dovremmo fare il bucato. Sono pieno di roba da lavare e aspettare Zayn è stata una pessima idea. Non fa altro che rimandare da giorni e non ho nulla da mettermi domani-" mi bloccai. Le sue mani erano sui miei fianchi, da dietro. Vedevo la sua ombra, riflessa sulle mattonelle gialle che contornavano la doccia. Chiusi lentamente la tenda, temendo che qualcuno entrasse e ci vedesse. Le docce degli spogliatoi per il calcio erano meno imbarazzanti di quelle comuni, interamente comunicanti tra loro e senza un velo di privacy. Non parlai a lungo, studiando come le sue dita si muovessero piano e gentili, intorno ai gonfiori che adornavano le ferite, superficiali fortunatamente. Era quella delicatezza a mozzarmi il fiato. Non eravamo abituati a quei tocchi e mai avremmo avuto il privilegio di poterli sognare. Ma lui non accennava a smettere e io non volevo che lo facesse. "Lucas", sussurrai mio malgrado.

Eleven ➳ l.s.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora