[Riferimenti importanti al capitolo sedicesimo.]
Louis, Londra, 2012.
Non facemmo l'amore quella notte. Facemmo di meglio. Gli accarezzai il capo per tutto il tempo, maledicendomi da una parte per non aver avuto il fegato di lasciarlo andare nel momento giusto. Osservavo spesso, notai, come il cipiglio sulla sua fronte si rilassava ogni volta che i suoi occhi si chiudevano. Sembrava così sereno, così privo di angosce, così... poco lui. Chi era quell'uomo che mi dormiva sulle gambe, stringendomi i fianchi come in preghiera di vedermi uscire dalla porta di casa sua?
Ero in pianta stabile da un paio di giorni lì. Avevo avvisato Zayn che la situazione non fosse delle migliori da Harry e mi aveva capito, chiamando Niall per farsi aiutare, quando poteva. Chiaramente Xander non avrebbe mosso un dito pur di vedere le sue mani da professore rimanere intonse. Guardai le mie. Una volta Harry mi disse che le mani sono il biglietto da visita di qualcuno, di ritorno dal pentagono, probabilmente. Pensai che le mie dovessero essere un pessimo inizio per presentarmi. Poi associai il pensiero alle sue. Doveva soffrire molto per quello sfregio e non volevo immaginare quanto il resto potesse far male alla sua testa.
Passammo il tempo a giocare a Risiko. Odiavo Risiko, ma non glielo avrei mai detto, soprattutto perché il suo sguardo di concentrazione mi inteneriva fin troppo, come se dovesse vincere a tutti i costi. Una partita durò per quasi sette ore e nella distrazione fui capace di fargli mangiare un intero pasto, sgranocchiando qua e là. Era questo quel che gli serviva, qualcuno che ponesse la sua attenzione interamente su di lui e non in superficie. Bastavano i giornali e il chiacchiericcio instancabile, per quello.
"Non è possibile." Chiuse nervosamente il tabellone, facendo cadere per terra tutti i carri armati neri e bianchi. "Non posso dovermi arrendere per la terza volta in due giorni!" Esclamò, facendomi ridere di gusto, in maniera forse un po' troppo beffarda.
"Non hai scampo, Styles" gli ricordai, alzando i medi per via di una scommessa molto stupida fatta poco prima. "Devi chiamare Cooper, adesso" gli ricordai.
"Non... chiamerò Cooper per questa idiozia" borbottò, incrociando le braccia. Decisamente, non sapeva perdere.
"Allora rimarrai un perdente e anche un codardo." Assottigliò lo sguardo e prese il cellulare.
"Un SMS." Fu la sua controfferta.
"Una chiamata di soli tre secondi." Proposi la mia.
"Non voglio sentire cosa risponde." Mi avvisò, indicandomi.
"A me non importa. Voglio solo sentire, quindi ricorda il vivavoce." Ammiccai, vedendolo alzare gli occhi al cielo. Lo squillo si propagò per la stanza.
"Pronto?" Chiese Harry. "Sì, sono io." Cooper nemmeno aveva parlato. "Louis voleva che sapessi una cosa." Sbuffò "Sono pulito. Da cinque giorni." Sorrisi. Era un traguardo più importante di quanto suonasse. Sentii soltanto Cooper dirgli qualcosa del tipo 'Ottimo lavoro, ragazzo', senza fare in tempo a dire niente prima che Harry chiudesse in fretta la chiamata. Glielo avevo detto io, a Cooper. Glielo avevamo detto insieme, in realtà. Lo avevo chiamato per pura disperazione e mi aveva dato qualche dritta su cosa fare in caso Harry avesse avuto una ricaduta. Il punto era che non sembrava facile che potesse accadere. Sembrava molto serio nel suo impegno e questo mi rese molto felice.
"Non è stato difficile, no?" Chiesi spalancando le braccia e poggiando la schiena al divano.
"È stato solo imbarazzante. Io e Cooper non parliamo di questa roba. Sono... cose personali." Alzai un sopracciglio.
"Si comporta come un padre con te. Non come il tuo." Il silenzio piombò. Pensai di aver esagerato, nonostante non avessi detto nulla di sbagliato. "Perdonami, non volevo ferirti." Mi corressi poco dopo.
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Eleven ➳ l.s.
FanfictionLondra, 2012. In una città dal cambiamento costante, il giovane detective Harry Edward Styles, proprietario dell'agenzia di investigazione privata Styles Corp., si ritrova a dover lavorare a un caso in periferia, dove la criminalità e la povertà son...