Capitolo Ventunesimo

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TW: Abuso minorile.

Harry, Londra, 2000.

La spirale di vuoto più lunga che avessi mai vissuto, era questo quel che rappresentarono i miei anni alla Royal Holloway. Ma per capire come fossi finito dietro ragazzi come Xander e uomini nettamente più grandi e meno potenti di me, in seguito, avrei dovuto guardare al mio passato come l'unica chiave di lettura capace di soddisfare le mie domande. Probabilmente sarei dovuto partire dall'assenza di una figura paterna incapace di identificarsi in un tutore, o forse dall'abbandono di mia madre. Nulla di tutto questo, però, avrebbe mai superato il trauma fisico inflittomi da Desmond Styles.

La ricerca di qualcosa che mi facesse sentire diverso da lui fu lunga, spesso insoddisfacente e nei momenti più bui mi sentivo sempre più simile all'unica persona a cui non avrei mai voluto somigliare. Uno degli episodi peggiori, di cui avrei avuto sempre memoria, coinvolgeva uno dei suoi momenti più bassi, quando dopo la fuga dalla questione Edimburgo durata anni e anni mi ritrovai senza una casa, sbattuto fuori dalle sue molteplici mura, con dieci sterline in tasca e la fame a marcire nello stomaco. Vagavo nella città di Londra come se potesse darmi anche solo un vago conforto guardare il volto delle persone e cercare quello di mia madre.

Indossavo un maglione in lana, zuppo di pioggia di giorni. Avevo dormito sull'uscio di un ristorante cinese, il Nancy's, nei pressi di China Town. Non sapevo come fossi arrivato lì, né come tornare a casa. Conoscevo i nomi delle stazioni della metro, quelle che mi serviva sapere, ma non avevo idea di come procurarmi dei biglietti e del cibo con soli dieci sterline. C'era un Poundland, lì vicino, probabilmente avrei potuto chiedere là se avessero qualcosa da mettere sotto i denti, anche perché mio padre non mi avrebbe mai lasciato entrare in un posto come quello; quindi, ne volevo approfittare per scoprire il mondo attraverso i miei occhi, piuttosto che i suoi.

La donna che gestiva il Nancy's, però, la suddetta Nancy per l'appunto, mi trovò senza forze e decisamente denutrito, sui gradini del suo ristorante, all'apertura mattutina. Serviva colazione, pranzo e cena lì. Un profumo di bao appena fatti mi inondò le narici, ravvivandomi un languore che avevo ignorato fino ad allora.

"Oh cielo, caro, ma che ci fai tu qui?" Il suo volto era segnato da rughe, rendendola una figura simile a una nonna, ai miei occhi. Due lacrime mi solcarono le guance, bruciandomi la pelle screpolata. Era imbarazzante essere abituato al lusso e non saper sopravvivere una notte fuori casa. Non le risposi, nonostante volessi. Mi sentivo uno straccio e temevo con tutto me stesso di sembrarlo anche ai suoi occhi. "Ti prego, entra pure. Ti posso offrire qualcosa di caldo?" Mi porse la mano. La guardai per un momento, prima di afferrarla, rialzandomi a fatica, con la testa che girava e la pancia che rimbombava la fame. Annuii appena, vergognandomi di aver appena accettato la sua elemosina.

Mi offrì da mangiare più di quel che avrebbe potuto. Non era un locale grande. Aveva solo tre tavoli da due persone ciascuno e uno lo avevamo occupato noi. "Lo sai che sei davvero un bel bambino? Non mi capita spesso di vedere gente così bella e giovane per strada. Ma tu sei tutto fradicio, anche se vestito bene. Mi vuoi dire che cosa ti porta qui?" La sua zuppa di miso calda era un toccasana in quelle giornate gelide d'inverno, quando la neve minacciava di scendere. Pensai che fosse assurdo come un fenomeno atmosferico come quello potesse essere bello per chi era più fortunato ed invece un rischio di morte per chi non avesse nemmeno un tetto sulla testa. Scossi il capo, non sapendo nemmeno da dove iniziare. "Anche a me capitava di litigare con i miei genitori e scappare di casa, sai? Nei giorni in cui eravamo nella regione di Xinjiang. Che strano eh? Una cinese a Londra che viene davvero dalla Cina!" Notai come stesse facendo di tutto pur di farmi sorridere e apprezzai lo sforzo, ma non bastò a farmi aprire le spalle ricurve. "Vivevamo di poco lì, ma eravamo felici. Eppure, quando si è giovani, si vuole più di quel che si ha. Ed è giusto così, ragazzo mio, non bisogna mai abbassare i propri desideri per andare incontro a quelli degli altri." Mi accarezzò il viso sporco con un tovagliolo imbevuto di acqua. Chiusi gli occhi, cercando di ricordare l'ultima volta che mia madre si fosse presa cura di me in quel modo, fallendo.

Eleven ➳ l.s.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora