Capitolo uno

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SOPHIE

Fermò l'auto, osservando la stradina che si inerpicava sulla piccola collina e divideva in due i campi, dando un'occhiata al navigatore e guardando ancora la sua destinazione finale: in cima al piccolo clivo c'era un insieme di strutture, quelle che dovevano costituire La Fattoria Hamon ma, in verità, tutto sembrava che un posto abitabile e che, fino a poco tempo prima, aveva dato del lavoro a qualcuno.

Forse aveva inserito male l'indirizzo nel navigatore.

Con uno sbuffo si chinò sul sedile del passeggero, storcendo la bocca quando sentì la cintura di sicurezza fare il suo lavoro e trattenere il conducente, anche se quello aveva fermato la macchina e stava solo provando a recuperare un foglio.

Si scostò una ciocca dal volto, afferrando la busta di carta bianca e ritornò al suo posto, aprendola, tirando fuori un foglio completamente scritto a mano.

Sapeva già il contenuto di quella lettera, l'aveva letta più e più volte, per questo scivolò verso il basso dove era stato segnato l'indirizzo della Fattoria Hamon.

Lesse la via e il numero, controllando subito i dati inseriti nel navigatore e, a quanto pareva, quel rudere infestato dalle piante con i campi completamente abbandonati a sé stessi era la sua eredità.

Quello che sua nonna Evangeline le aveva lasciato prima di morire.

Quello per cui lei, Sophie Hamon, aveva abbandonato tutto e tutti.

Beh, in verità non aveva abbandonato nessuno: il suo vecchio lavoro come chef le era stato rubato dall'uomo con il quale aveva creduto di trascorrere tutta la vita e sistemarsi, il quale non contento di averle soffiato il posto, l'aveva lasciata senza se e senza ma per poi andarsene fra le braccia della direttrice del ristorante per cui lei aveva sgobbato anni e che l'aveva spedita via a calci nel didietro.

Il tutto nello stesso giorno.

Si era svegliata chef e fidanzata ed era andata a letto disoccupata e single.

La lettera di sua nonna era arrivata il giorno successivo, consegnata dalla padrona di casa assieme all'avviso di uno sfratto.

Fare i bagagli, recuperare tutti i suoi averi e andare a vivere lì era stata una scelta che aveva seguito tutto ciò e, adesso, davanti a quello che era effettivamente la sua eredità cominciava a pensare che forse non era stata una scelta ottima...

Lasciò andare un sospiro, mentre immetteva la marcia e si inerpicava per la piccola salita, fermando l'auto in quello che un tempo doveva essere il giardino della casa ma che, adesso, sembrava più il regno indiscusso delle piante.

Scese dalla vettura, osservando gli edifici in pietra grezza che formavano una L e che delimitavano il giardino: l'abitazione della nonna, se ricordava bene, doveva essere quello più grande mentre, la costruzione più piccola era quella che aveva ospitato gli animali della nonna.

Animali che, ormai, erano belli che andati.

Lasciò andare un sospiro, aprendo lo sportello posteriore dell'auto e recuperando il proprio trolley: poteva ancora tornare indietro, sistemarsi da qualche altra parte e trovare un altro lavoro come chef, prima che i suoi risparmi che aveva finissero.

Cosa avrebbe fatto lì?

Non sapeva niente di campagna o di come si gestisse un pezzo di terreno, quali frutti avrebbe dato e come avrebbe fatto a vivere.

Avrebbe potuto vendere tutto e lavarsene le mani, ma...

C'era quel ma che le tormentava il cervello: la nonna le aveva lasciato quel posto e quella lettera era arrivata proprio nel momento esatto: come aveva scritto nella lettera, la vita era diventata dura e quel posto, nonostante sembrasse collassare su se stesso da un momento all'altro, la faceva sentire accolta e al sicuro.

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