Capitolo venticinque

130 6 5
                                    

SOPHIE


Quanto poteva essere imbranata una persona?

Sophie si massaggiò la nuca, guardando male il rastrello: lei era lì, tutta tranquilla a sistemare il suo orto completamente biologico, aveva solo fatto un passo indietro e quello aveva osato colpirla alle spalle.

Sbuffò, continuando a massaggiarsi la parte lesa e dirigendosi verso la casa, gemendo non appena fu al riparo dai caldi raggi estivi: "Che hai fatto?" la domanda era stata fatta con una nota divertita nella voce e lei fissò male l'altro essere umano all'interno della stanza.

Fabien stava sorseggiando il suo caffè tranquillamente, in jeans e maglietta, con i capelli scuri arruffati: se non fosse stato per il dolore alla nuca, avrebbe sorriso con soddisfazione perché quell'aspetto trasandato era merito delle attenzioni che gli aveva dato appena svegli.

"Non chiedere" sbuffò, continuando a toccarsi la parte lesa.

"Fa vedere" Fabien le si avvicinò, facendola voltare e Sophie sentì le sue dita fra i capelli, toccarla con delicatezza nella parte dolente: "Ancora tutto intero" le dichiarò, dandole un bacio sulla nuca: "Puoi smettere di farti male?"

Un sibilo si levò da un angolo della cucina e Sophie osservò Tulipe comodamente acciambellata in una cuccia rosa, circondata da alcuni pupazzi: non sapeva come era iniziata quella cosa, ma visto che Fabien l'aveva sfrattata dal letto le aveva comprato quel comodo lettino che l'oca aveva apprezzato fin da subito.

I pupazzi erano arrivati dopo, alcuni erano stati rubati in casa e altri li aveva comprati Sophie dopo che si era accorta quanto l'animale li adorasse.

Tulipe ne prese uno, spingendolo appena con il becco e sistemandoselo vicino come se si trattasse di un pulcino: forse sentiva il bisogno della maternità? Avrebbe dovuto cercarle un fiero maschio con cui creare una famiglia?

Avrebbe dovuto informarsi.

"Non lo faccio di proposito, anche io sarei contenta di non farmi male" dichiarò, voltandosi e rispondendo alla domanda di Fabien: "Fermo lì! Quelli mi servono per il blog!" esclamò, bloccandolo mentre provava a prendere uno dei biscotti che aveva preparato il giorno precedente per il nuovo video del canale.

Doveva ancora fotografarli per il blog, non ce l'aveva fatta il giorno prima per via della luce pessima e quindi aveva pensato di farlo quella mattina con la cucina illuminata dal sole mattutino.
"Un tempo me li avresti fatti mangiare" borbottò Fabien, ritirando la mano e guardandola con un broncio sulle labbra.

"Esattamente quando? Ti ho sempre dato tutto dopo aver fatto i video e i post dei blog, mai prima" dichiarò, osservando Fabien avvicinarsi e appoggiare le mani al bancone, incastrandola così.

Le sfiorò la bocca con la propria, mordicchiandole il labbro inferiore e piegando le labbra in un sorriso birichino: "Magari per rimediare, potresti..." non riuscì a finire la frase, il trillo del suo cellulare lo interruppe e Sophie ridacchiò, vedendolo sospirare e lasciarla andare per vedere chi lo stava contattando a quell'ora.

Lo guardò leggere il messaggio e abbassare il capo, mentre un nuovo lento sospiro gli sfuggì dalle labbra: "Fammi indovinare? Il trio dentiera" gli chiese, ridendo e vedendolo annuire con la morte sul volto.

"Sempre e solo loro" sospirò Fabien, infilando il cellulare in tasca e poi sistemandosi alla meglio i capelli: "Vado a salvare Garcia da Vincent, e fermo il terzo prima che metta tutto su Tiktok" dichiarò, scuotendo il capo: "Ci vediamo stasera!"

"Buon lavoro!" Sophie gli sorrise, dandogli un bacio leggero e vedendolo uscire dalla cucina.

Ascoltò i rumori di Fabien che se ne andava, socchiudendo gli occhi e rimanendo immobile nel silenzio della cucina: erano passati un paio di mesi dall'arresto di Poutin e il capitano di Auch le aveva affermato che non sarebbe uscito di prigione tanto presto.

La Fattoria Hamon era finalmente diventata un posto sicuro, un luogo che sentiva casa e che l'avrebbe sempre accolta, assieme a quella grossa e sconclusionata famiglia che aveva trovato a Fourcès: persone che, nel momento del bisogno, sarebbero subito giunte in suo aiuto e, per le quali, lei si sarebbe fatta in quattro.

Aprì le palpebre, osservando la cucina e poi l'oca, mentre un sorriso le piegava le labbra: era nel suo posto speciale, nel luogo in cui doveva essere e non sarebbe andata da nessun'altra parte, perché quello era il posto dove il destino l'aveva mandata e dove lei si sentiva di appartenere.

Forse sua nonna l'aveva immaginato o forse aveva agito spinta dalla propria esperienza di vita e, per questo le aveva mandato quella lettera, le aveva preparato quel ritrovo che l'aveva accolta e fatta camminare con le sue gambe.

Sophie inspirò a fondo, piegando le labbra in un sorriso e socchiudendo gli occhi, sentendo due parole scivolare sulla lingua: "Grazie, nonna."




Oops! Questa immagine non segue le nostre linee guida sui contenuti. Per continuare la pubblicazione, provare a rimuoverlo o caricare un altro.
Un posto specialeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora