29. ...But bad boys bring heaven to you

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J A R E D

qualche ora prima

Esco di casa appena Thomas riesce ad accedere alla lista delle persone che alloggiano nei dormitori del collage.

Quando la sera prima mi ha chiamato Mary dalla clinica per avvertirmi che la terapia non stesse andando bene, mi sono sentito sprofondare nel suolo.

Ringrazio mentalmente Swami per aver chiamato me e non qualche altra persona ieri notte; per quanto mi abbia turbato vederla, avevo bisogno di non pensare a mia madre.

Ho sempre avuto un bel rapporto con Lauren. Da bambino facevo molta fatica a relazionarmi con le persone. Come ogni madre, la mia aveva notato questa mia difficoltà, così rimase contenta di sapere che un pomeriggio riuscì a fare amicizia con un bambino. Si chiamava Jackson. Da lì molte più persone hanno iniziato ad unirsi a noi per giocare, diventando un gruppo. Ricordo vagamente il volto di Thomas tra questi.

Ero spaventato che un indomani tutti loro si fossero accorti della persona che fossi e mi avrebbero lasciato di nuovo solo. Mia mamma impedì che tutto questo accadde: ogni giorno mi accompagnava al parco dov'ero solito andare con Jackson.

All'epoca non riuscivo a comprendere quanto valesse quel gesto. Tutti i miei amici abitavano vicini al parco, mentre io ero quello più distante. Lauren tornava dal lavoro, pranzavamo e successivamente impiegavamo quasi un'ora per andare. Non importava che piovesse o ci fosse un sole da spaccare le pietre.

Le cose però cambiano. Anzi, le persone lo fanno.

Avevo solo dodici anni quando quelli che chiamavo amici mi condussero in una via sbagliata. Li seguivo perché li ritenevo importanti e soprattutto non volevo rimanere di nuovo solo.

Ebbi le mie prime esperienze troppo presto. Rovinai la mia adolescenza solo per essere accettato da un gruppo che non aveva neanche provato a conoscermi.

Il parco giochi dove andavamo a giocare da bambini, divenne il luogo in cui passavamo intere notti con qualcosa da fumare e una bottiglia di troppo.

Tutto decadde quando mio padre iniziò ad avere dei comportamenti violenti nei confronti di mia mamma. Io ero troppo stupido per accorgermene o dargli importanza. Così continuai ad uscire dalla mattina alla sera, e se mi venisse vietato, optavo per scappare di casa.

Un giorno, quando avevo tredici anni, trovai le carte del divorzio depositate sul tavolo in cucina. Le studiai attentamente, e da perfetto egoista diedi tutta la colpa ai miei genitori. Specialmente mia madre.

Così decisi di uscire di casa e non tornai per due giorni interi. Quando la mamma di Jackson mi esordì a tornare e fare sapere ai miei genitori che stessi bene, fui colto da un brutto presentimento.

Quel giorno trovai mamma immobile e distesa sul pavimento del soggiorno, vicino alle scale. Pensavo fosse caduta dai gradini, ma quando i medici mi dissero che era dovuto al suo stato di salute mi sentì un perfetto vigliacco.

Da lì in poi non lasciai più mia mamma. Trascorsi giorni e notti in ospedale. Venni bocciato un anno a scuola, ma a me poco importava perché studiare non mi avrebbe permesso di aiutare Lauren con tutte le mie forze.

Appena finì in riformatorio non ero molto preoccupato di quello che potesse succedere al mio futuro, bensì ad abbandonare mia madre.

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