Cap.17 - Lotus, pt.1

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C'era una ragione più che valida se Shinichi e Seihachi avevano deciso di basare il successo del loro piano sull'indole estremamente pignola e metodica del commissario Gekko, ragione con cui nei giorni successivi ebbero modo di confrontarsi di persona anche Razen e Jin.

Essendo costretti a non uscire infatti erano gli unici a poter assolvere al compito di tenere sotto costante controllo l'attività del suo cellulare, e alternandosi quotidianamente davanti al computer o girovagando per casa con le cuffie bluetooth si erano aperti una finestra nascosta sulla vita di quella che era con ogni probabilità la famiglia dalla routine settimanale piú consolidata dell'intera Tokyo.

Tutti i Gekko risiedevano nella signorile zona di Marunouchi, a soli dieci minuti di auto dal Quartier Generale: il martedì, compatibilmente con gli orari di lavoro del figlio, il commissario ospitava per cena sia lui che la sua ragazza – molto presto nuora, a quanto pareva, non appena l'ispettore avesse trovato l'occasione giusta per farle la proposta – il giovedì si recava all'esclusivo golf club nel distretto finanziario di Nihonbashi per pranzare in compagnia del padre e di qualche altro personaggio di spicco appartenente alla classe politica o alle alte sfere del corpo di polizia mentre il mercoledì era dedicato alla moglie e alla loro cenetta romantica nel ristorante di pesce che preferivano, così come i tranquilli weekend che trascorrevano insieme tra i cruciverba dell'inserto domenicale e le lunghe passeggiate nel parco del Palazzo Imperiale a pochi passi da casa.

L'importanza che il commissario attribuiva alla famiglia uguagliava la sua dedizione al lavoro, ed era per questo motivo che nonostante il ferreo regolamento rifiutava di utilizzare sia il cellulare aziendale che il cercapersone – "...il primo é in dotazione solo ai dirigenti, ma siamo tutti obbligati a tenere l'altro incollato addosso durante l'orario di lavoro; solo se non sono di turno il mio lo spengo e lo lascio in ufficio", aveva spiegato Shinichi – voleva essere sempre raggiungibile da chiunque nel modo piú efficiente possibile, perciò l'intercettazione di quel singolo telefono consentiva ai fratelli di avere accesso completo alle sue conversazioni – sia private che non, quindi – che finora gli erano servite a farsi un'idea piú chiara sul ruolo del commissario all'interno del Quartier Generale.
Era un tipo giovanile e interessante che dimostrava meno dei suoi cinquantun anni, ma dal tono con cui gli si rivolgevano colleghi e sottoposti si intuiva che era una figura di notevole esperienza e alla quale era portato grandissimo rispetto – non a caso era spesso richiesta la sua consulenza nei briefing di aggiornamento sui casi piú complessi degli altri dipartimenti – e la professionalità che negli anni aveva reso il cognome 'Gekko' un'autorità indiscussa in lui si manifestava palesemente nella stretta collaborazione con il figlio: al momento uno degli obiettivi dell'unità era quello di sedare le schermaglie tra le famiglie minori che conducevano attività correlate agli affari di Kurosu e che dopo la sua morte avevano dato il via alla lotta per la spartizione del business; non lasciava mai trapelare alcun favoritismo o alcuna indulgenza immotivata, che d'altra parte però non erano neppure pretesi.

Tutto questo rendeva difficile per i ragazzi credere che una persona del genere potesse essere rimasta invischiata in circostanze compromettenti a tal punto da essere forzata a cedere al ricatto di Mitzuharu– o di chi per lui; finché lo zio non avesse trovato delle risposte certe non potevano ancora permettersi di escludere un coinvolgimento esterno – ma allo stesso tempo contribuiva ad alimentare in loro la certezza che solo qualcuno a quel livello di abilità e dalla reputazione così integerrima sarebbe stato in grado di gestire lucidamente la situazione; tuttavia, al di là di queste considerazioni, sebbene fossero nove giorni ormai che tenevano Gekko sotto continua sorveglianza dalle sue telefonate non era emerso di fatto ancora nulla che potesse risultare davvero utile al loro scopo.

E anche oggi sarà soltanto un altro buco nell'acqua. Ci scommetto.

Erano appena le otto quando Jin entrò in soggiorno sbuffando e passandosi stancamente una mano tra i capelli: diede uno sguardo al PC acceso sul bancone, lo mise in carica insieme ai suoi auricolari e si versò una tazza di caffè sorridendo davanti ai dorayaki che Hanami gli aveva scongelato prima di andare in ospedale; avrebbe staccato alle cinque del pomeriggio, da lì alla fine del mese.
Restò sorpreso nell'attimo in cui si voltò e vide Razen affacciato alla finestra mentre aspirava profondamente il fumo di una sigaretta.
"Ehi." "Ehi." Questo gli lanciò un'occhiata e spense il mozzicone. "Da quanto sei sveglio?" Gli domandò l'altro raggiungendolo con una seconda tazza e affacciandosi a sua volta al davanzale. "Non da molto; Hanami era già uscita. Grazie."

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