𝐂𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝟑 | 𝐓𝐡𝐞 𝐬𝐨𝐮𝐧𝐝 𝐨𝐟 𝐭𝐡𝐞 𝐩𝐢𝐚𝐧𝐨

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또 위태로워 또 위험해So bad why 우린 yeah더 버티기도 지탱하기도So hard, hard 안 돼-House of Cards

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또 위태로워 또 위험해
So bad why 우린 yeah
더 버티기도 지탱하기도
So hard, hard 안 돼
-House of Cards

Taehyung

Sospirando, mi lasciai cadere di peso sulla sedia girevole ed in pelle nera del mio ufficio, portando una mano alla testa per poterla sorreggere e massaggiare di conseguenza la fronte dolorante.

Quel giorno era un completo caos nell'agenzia: non riuscivo a mettere in ordine i miei pensieri accalcati uno sull'altro e il non essere meticolosamente organizzato mi mandava in fumo il cervello, assieme alla ragione.

E se succedeva rischiavo grosso, come di mandare a rotoli tutto il mio duro lavoro di quegli anni.

Come se non bastasse non avevo nemmeno indossato una cravatta quel giorno, che era diventato il mio antistress ogni volta che la rabbia mi assaliva i sensi, che utilizzavo allentarla di poco, e non potendolo fare mi faceva agitare maggiormente.

Solitamente era sempre tutto ben sviluppato, sotto al mio controllo attento e puntiglioso, ma da quando un'agenzia di moda, a nome di un certo Kim Namjoon, che era stata ufficialmente aperta una settimana prima, era cominciato il completo delirio nella mia di attività.

E come se non bastava, mio padre, pur essendo in viaggio con mia madre per quella che doveva essere una vacanza rilassante in Italia, stressando me, mi dava ordini su quello che dovevo fare per mandare avanti l'agenzia. Come se non me l'avessi buttata tra le mie di mani all'età di vent'anni, giovane ed almeno un po' espreEd era qualcosa che mi faceva tremendamente incazzare, oltre ai vari avvenimenti che si susseguivano come contorno.

Avevo la scrivania in vetro colma di fogli, e documenti da dover firmare di alcune ragazze per essere ingaggiate come modelle. E in quel periodo stavano scarseggiando, per colpa di un'agenzia avversaria.

Li guardai e ne sfogliai alcuni. Curriculum svolazzavano ovunque sotto ai miei occhi e non era qualcosa di cui mi dovevo occupare personalmente.

Avrei continuato ad urlare come un pazzo se non si sbrigavano a districare tutte quelle incongruenze, che avrei volentieri lanciato per aria.

Ad un tratto bussarono alla porta del mio ufficio ed un "avanti" roco e irritato uscì lento dalle mie labbra per colpa della mascella contratta, mentre buttavo nel cestino accanto alla scrivania un curriculum inutile, privo di informazioni e sviluppato male.

«Signor Kim è occupato?» chiese flebilmente la mia segretaria, entrando cautamente nel mio ufficio con un tablet tra le braccia, i suoi capelli neri legati in una coda bassa, la camicia bianca ben stirata, la gonna nera lunga fino alle ginocchia e i tacchi alti messi ai piedi.

«Non lo vedi tu stessa?» nonostante l'avevo guardata di sottecchi mentre chiudeva la porta dal vetro opaco alle sue spalle con delicatezza, continuai a soffermarmi sui fogli che avevo tra le mani.

𝐁𝐀𝐁𝐘𝐒𝐈𝐓𝐓𝐈𝐍𝐆 | 𝐤𝐭𝐡Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora