Tradimento

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"Perché vuoi andare di là? Non dobbiamo per forza toccare gli ultimi due Cerchi, è pericoloso, possiamo tagliare da qui e arrivare al Purgatorio in un battibaleno."

"Ho un contatto per un'uscita veloce, ma devo dargli in cambio qualcosa che si trova lì dentro . Puoi aspettarmi qui se vuoi, non ci metterò molto."

"Magari potrei aiutarti. Ho anche io dei contatti, fra i Cerchi infernali, anche se meno in questi ultimi. Di solito collaboro con le scartine, qui tendono tutti a tirarsela un po' troppo."

Erano in viaggio da un paio di giorni, ormai, in quel mondo di polvere e cenere, a volte fra i corridoi stretti dai muri spogli e a volte nell'ampio ambiente senza cielo e senza orizzonte che si stagliava oltre ai corridoi. Neppure Crowley, probabilmente, avrebbe saputo muoversi in quel modo all'inferno. Virginia conosceva ogni luogo, ogni angolo ed ogni anfratto, anche se continuava a ripetere che normalmente usasse altre stradi ed altri canali. La "mappa" che seguiva doveva portarla dentro di sè, nel senso che di tanto in tanto doveva concentrarsi per richiamarla alla propria mente, per poi consultarla e rimettersi in viaggio con sicurezza. Non pareva aver bisogno di mangiare o dormire, finché era compresa nel suo ruolo di Guida, ed era qualcosa di cui mostrava molto orgoglio: solo i migliori fra i Marone, nel corso della storia, avevano avuto un legame col mondo occulto come quello che aveva lei. Per questo, forse, Crowley aveva trovato tutto sommato semplice fidarsi di lei, collaborare alla pari in quel viaggio. Eppure ora che ci si avvicinava ai gironi dei traditori, lui poteva percepire la propria fiducia incrinarsi, il suo animo incattivirsi. Sentiva la bestia che era crescere, spezzare i limiti ed i confini che seimila anni sulla Terra avevano contribuito a tracciare.

Tradimento. Lo sentiva crescere e pulsare, dentro di sé. Tradito. Era stato tradito. Per la prima volta da quando l'ascensore si era chiuso, vedeva tutto molto più chiaramente. Si era sentito triste, vuoto, devastato, solo. Molto solo, più di quanto si fosse mai sentito nel corso della sua intera esistenza. Era stato anche arrabbiato: con l'inferno, il paradiso, con sé stesso. Ma mai con Aziraphale. Ora, invece, finalmente stava iniziando a capire come per millenni lui avesse creduto di tentare, lentamente ma definitivamente, l'innocente Angelo. Ed invece era stato lui stesso ad essersi infiacchito, edulcorato, sbiadito. Anzi, ad essere stato infiacchito, edulcorato, sbiadito. Era diventato un demonietto da compagnia, un serpente abituato alla sua cesta che danzava al suono del flauto.

Si ritrasse d'improvviso come una bestia ferita, distratto da quei pensieri martellanti, quando Virginia gli afferrò la manica, strattonandogli il braccio davanti alla faccia. Da oltre le lenti nere, ormai rigate per il lungo viaggio, lui non vide la propria mano ma cinque dita arcuate, distorte, terminanti in cinque affilati artigli bruni, da cui anche -estremo orrore- sbucavano ciuffi di peli ispidi.

"Hai ragione, non posso venire con te" sospirò la ragazza, pulendosi un po' schifata la mano sul fondo della tunica: Crowley si era ricoperto di uno strato di icore insieme viscido e polveroso, in cui lei aveva dovuto infilare la mano per spostargli il braccio. "I Cerchi stanno reagendo ai tuoi dubbi, ed i tuoi dubbi stanno reagendo ai Cerchi. Conta come Prova, ed io dovrei interagire il meno possibile in questi casi. Fai quel che devi, e cerca di tornare il prima possibile. Anche io ne approfitterò per alcune cose, ci rivedremo... uhm. Lì."

Stava parlando solo lei, prendendo decisioni con una calma ponderata ed analitica, mentre osservava l'orizzonte e stabiliva il punto d'incontro in uno dei pochi segni distintivi del territorio, un masso che pareva un uncino che si sollevava da terra.

Crowley era ancora confuso. Non riusciva a riflettere, il suo cervello normalmente rapidissimo era zavorrato da una rabbia che non riusciva a contenere. Lei lo stava sospingendo leggermente verso la giusta direzione, in attesa che lui iniziasse a camminare da sé. Mezzo tramutato in mostro, ancora confuso, alla fine iniziò a camminare verso il nono cerchio: i traditori di chi si fidava di loro.

Ogni passo era tortura: ogni centimetro di distanza macinata dal cuore del cerchio suonava come cento trombe di rabbia ed odio cieco verso Aziraphale e verso tutto quello che si era costruito sulla terra nel corso dei secoli. Ad un certo punto, non seppe nemmeno indicare esattamente quando, alla furia si mescolò la paranoia: quante persone avevano contribuito a quel complotto per distruggerlo? Anche Maggie e Nina? Forse anche tutta la storia di Adam. I tedeschi durante la Seconda Guerra Mondiale. Quanto indietro doveva andare? Fino a Giobbe? No, no, anche prima. Forse dalla caduta. O forse la nascita stessa dell'angelo che fu era tutto parte della scommessa di Dio per farlo cadere in pezzi. Certo, tutto era parte di un piano. Tutto per fargli del male.

La testa era ormai un grumo di teorie cospiratorie, ognuna più assurda e convincente delle altre, eppure non aveva smesso di camminare. Non sapeva neppure più perché, ormai, ma qualcosa continuava a farlo camminare oltre la polvere, fino all'accesso dei corridoi interni. Le sue gigantesche spalle mutate strusciavano sui muri di cemento, contro le vetrate, contro il metallo dei tubi, mentre le braccia innaturalmente lunghe strisciavano nella polvere del pavimento. Altri demoni gli si fecero incontro, ma lui li calpestò senza badarci, facendoli fuggire via con versi incomprensibili, poiché le parole altrui non riuscivano ad oltrepassare la nebbia di ferocia che gli aleggiava in testa. Camminò e camminò, difficile dire per quanto, ma infine seppe di essere arrivato dove doveva arrivare: di fronte a sè, la distesa del Cocito, il vero cuore dell'Inferno, al centro del quale, nascosto dalle nebbie, si diceva Lucifero torturasse i suoi preferiti.

Era arrivato. Ed era solo, dato che gli altri demoni avevano ben pensato di girargli alla larga, non riconoscendo in lui altra creatura se non una delle bestie torturate e folli che di tanto in tanto vomitava quel cerchio demoniaco. Ma cosa doveva fare? E perché? Non riusciva a calmarsi, non riusciva a ragionare. Continuava a pensare solo ad Aziraphale.

Aziraphale Aziraphale Aziraphale Aziraphale Aziraphale Aziraphale Aziraphale Aziraphale.

Poi, tutto ad un tratto, un'illuminazione gli squarciò la mente come una mannaia che si abbatte su un ceppo, disperdendo la nebbia che lo stava soffocando: Aziraphale!

Aziraphale che se n'era andato, ma anche Aziraphale che, per un frammento di istante, quel bacio lo aveva ricambiato. Aziraphale che lo aveva circondato con le sue braccia, per quanto per un solo singulto. Aziraphale che aveva quasi pianto, quando aveva capito che non sarebbe andato via con lui. Aziraphale che non l'aveva mai lasciato, non davvero perlomeno, fino a quel momento lì. Aziraphale che nei millenni, al suo passo, aveva fatto il possibile per raggiungerlo. Aziraphale che, a volte, lo guardava come se Crowley fosse ancora il creatore di stelle che era stato. Aziraphale che probabilmente non provava per Crowley quello che Crowley provava per Aziraphale, ma che fino a quel momento aveva sempre scelto di stare con lui. Aziraphale e le sue labbra morbide ed innocenti, che forse non sapeva ricambiarlo, ma che non lo avrebbe tradito. No, non lo avrebbe tradito.

Crowley non aveva bisogno di respirare, ma ugualmente inspirò ed espirò profondamente, mentre il corpo tornava nella forma umanoide. Ritrovava le proporzioni, insieme alla calma e alla lucidità, mentre la mente usciva dal labirinto della paranoia e del complotto in cui si era persa. Si sentiva stropicciato, più intimamente che fisicamente, e stanco come raramente si era sentito, ma finalmente di nuovo in sé.

Aveva una missione da compiere, per poter continuare col suo piano: con movimenti scomposti, si aprì la giacca e la camicia, mostrando il petto nudo alle acque ghiacciate e melmose dentro le quali i dannati stavano venendo torturati, ed attese. Non dovette attendere molto: dall'interno delle sue carni, qualcosa iniziò a spingere la pelle verso l'esterno, fino a lacerarla ed uscirne, ricoperta di icore nero. Un enorme moscone ne era uscito, ed ora con le zampe si stava ripulendo dall'appiccicume i propri grossi e composti occhi. Come tutte le mosche, non si mostrò particolarmente comunicativa, limitandosi a sollevarsi in volo e sparendo in pochissimi istanti verso l'alto senza cielo, sparendo da qualche parte.

La promessa pattuita con Beelzebub era stata svolta, dalla sua parte, ed il moscone di sorveglianza era stato portato in posizione: più avanti sarebbero stati loro a ricambiare il favore. E di questo Crowley non aveva dubbi.

Si iniziò a tastare le tasche, fino a ritrovare un paio di occhialini di emergenza, dato che quelli che aveva addosso prima di arrivare al Nono Cerchio chissà dove li aveva persi, durante la sua mutazione demoniaca. Mettendosi le mani in tasca, dopo aver dato un calcio alla mano di un dannato che fuoriusciva dalle acque, ancora mezzo squarciato in petto dall'uscita della Mosca, voltò la schiena a quel posto orrendo sin troppo familiare e tornò indietro. 

Good Omens 2.5 - il seguito che avremmo voluto vedereDove le storie prendono vita. Scoprilo ora