Demone

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Crowley non era solo, in quelle prigioni.

E non era da intendersi che non fosse solo per via delle creature mutate e impazzite che emergevano a metà dalla roccia, gli occhi persi in allucinazioni e le fauci aperte e sbavanti per qualsiasi pensiero o istinto stesse passando nella loro mente. No, quelle potevano riempire l'aria con i loro gutturali lamenti ed il loro afrore nauseabondo, ma non si avvicinavano nemmeno ai pensieri di Crowley, man mano che si insinuava discesa dopo discesa e svolta dopo svolta nel cuore di quell'incubo di pietra e materia semivivente. Le catene che prima portava ai polsi erano state aperte e trasferite attaccate alla cintura, rendendo il suo passo vagamente tintinnante come se fosse un fantasma scozzese nel suo castello.

Spazi giganteschi diventavano cunicoli claustrofobici, quasi sempre immersi nell'oscurità e nel puzzo di carne marcia, mentre la temperatura dell'aria era così alta da pensare di poter cuocere un uovo al tegamino sulle pietre.

Da un po' si era fatta strada nella sua mente l'idea che sarebbe stato incredibilmente più confortevole lasciar scivolare via la sua forma umanoide per abbracciare una forma demoniaca. Forse in serpente, forse in bestia, entrambe le possibilità erano possibili, eppure preferì non lasciarsi andare. Gli era bastato guardare quelle creature dimenticate anche da loro stesse per capire quanto fosse infame quella zona dell'Inferno: non era una violenza immediata, non era una guerra, ma un lento assedio di chi non teme di avere poco tempo. Non doveva abbassare la soglia di attenzione ed autocontrollo neppure un istante, non doveva farsi portare dove le Prigioni avrebbero voluto portarlo: bastava uno scivolone per non poter mai più tornare indietro.

Come si diceva, però, in quelle Prigioni non era da solo. C'erano delle parole, insieme a lui, a tenergli la mano nei momenti in cui si inerpicava su stretti sentiero a picco sui burroni, a trattenerlo in piedi quando il terreno gli scivolava sotto le scarpe, eppure contemporaneamente a pesargli sulle spalle quando tutto sembrava procedesse tranquillamente.

"E' ovvio che stai cercando di ottenere qualcosa per il bene di Aziraphale, o gli avresti chiesto di escogitare un piano assieme"

Quella ragazza era troppo sveglia per i suoi gusti.

"E probabilmente è qualcosa di pericoloso o intimo, o lo staresti dicendo a noi."

Troppo, troppo sveglia per il suo proprio bene.

"Va bene chiedere cosa si possa cambiare di sé stessi, va bene fare qualcosa per cercare di essere una persona diversa da quel che si è. Mettiti in discussione, sempre. Ma che sia una discussione, appunto."

Le mani scivolavano sulla roccia umida di icore nero, i piedi erano ben poco saldi su quella sottilissima striscia che lo divideva da un salto nel buio senza apparente possibilità di ritorno. Finalmente aveva iniziato ad incontrare le tombe degli angeli: per ora erano lapidi con poca personalità degli angeli dei bassi cerchi, ognuna con il suo piccolo tesoro correlato, ma nessuna di quelle lapidi aveva un senso o un'importanza per Crowley. L'unica cosa che era chiara è che se lì c'erano le lapidi delle scartine fra gli angeli, di certo quella di un Serafino doveva essere più in profondità.

"Ci sono sempre due scelte nella vita: accettare le condizioni in cui viviamo o assumersi la responsabilità di cambiarle. C'è per tutti noi la possibilità di un grande cambiamento, nel corso della nostra esistenza, qualcosa di talmente enorme da equivalere più o meno ad una seconda possibilità di nascere."

La terza, sarebbe stata la terza possibilità di nascere. E lui si sarebbe preso la responsabilità di quel cambiamento, anche se fino ad ora non aveva mai voluto farlo. Non aveva semplicemente voluto. Ma lo avrebbe fatto, adesso, perché Aziraphale meritava di avere qualcosa, da lui.

Good Omens 2.5 - il seguito che avremmo voluto vedereDove le storie prendono vita. Scoprilo ora