1. Quando ci annoiamo dopo il canottaggio

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Luglio, 2018.


Non c'era nessuno sulla metro delle due e quaranta.

Samu aveva proposto di calarsi giù dalla finestra della sua stanza. Aveva affermato, con sconsiderevole sicurezza, che non c'era nessun pericolo di essere scoperti dagli educatori della comunità di accoglienza Santo Stefano, dal momento che lui lo faceva spesso per andarsi a comprare l'erba.

«Scappiamo alle due, quando gli educatori dormono» aveva detto Samu, prima della cena delle venti: «Il Giorgino e il Giorgione fanno da guardia alla porta della mia stanza, io e Cristian ci occupiamo della corda»

Una corda di lenzuola legate insieme per evadere dalla comunità come facevano i detenuti per scappare dalle carceri. Anche questa era una cosa che Samu faceva spesso: invece di usare la porta, si calava giù dalle finestre o dai parapetti dei balconi con una corda di lenzuola.

Il piano era semplice, chiaro e cristallino, come la pubblicità dell'acqua naturale ma, tra tutti, il Giorgino aveva avuto da ridire.

«E fe sci beccano?» aveva chiesto con la faccia distorta in un'espressione preoccupata.

Il Giorgino era un tipo gracilino, tutto ossa, con la faccia brufolosa e i denti storti, perspicace ma con poco istinto di sopravvivenza. Da sedici lunghi anni portava l'apparecchio e parlava come Donald Duck, sputacchiando tutte le parole tra i denti.

Il Giorgione, il suo omonimo ma più grosso, gli tirò una pacca sulla schiena, così perentoria che il Giorgino aprì la bocca ma non disse niente.

«Ma tu perché sei qua?!» domandò Cristian «Non fare lo sfigato, come fai sempre»

Il Giorgino sospirò pesantemente e incrociò le braccine esili al petto. Le labbra, già sottili, erano piegate in una linea dritta.

«Analista minimale» commentò a mezza voce per poi zittirsi.

Si poteva tranquillamente dedurre che la saggezza del Giorgino derivasse dalla paura. Di Cristian, di Samu, di qualunque essere umano nel raggio di qualche metro da lui. Solo l'altra sera, quando una ciocca di capelli gli era rimasta impigliata nell'anta del mobiletto a muro a cui era appoggiato, il Giorgino aveva fatto un salto così alto da raggiungere le stelle. Dunque, si poteva affermare che il Giorgino era stato spaventato da un mobile. Per dire, quanto era temerario.

Samu ignorò il Giorgino, come faceva spesso, per poi ghignare e appoggiare una mano sulla spalla di Cristian. Alzò un sopracciglio nella sua direzione, come se avessero un modo tutto loro per capirsi senza parlare.

Si concedeva spesso quelle piccole confidenze con Cristian, di pacche sulla spalla, occhiate di intesa e gomitate nelle costole gliene aveva date parecchie nel corso degli anni.

Non che Cristian capisse quel linguaggio che lui e Samu, presumibilmente, condividevano. Samu non era così espressivo, dopotutto, le sue occhiate erano sempre uguali. Erano i suoi occhi che traducevano le sue emozioni e le sue emozioni avevano due volumi: arrabbiato e arrabbiatissimo. Quando non era arrabbiato, era fiero del fatto che qualcun'altro fosse arrabbiato.

Secondo la sua scienza, essere arrabbiati era il segreto per essere uomini.

Cristian non si scostò, non gli chiese di spostare la mano, non si mosse. Mantenne un'espressione neutra come se Samu non gli stesse massaggiando la spalla e lui non detestasse essere toccato da Samu. Anche Cristian racchiudeva in sé stesso un certo nucleo di saggezza e sapeva che mettersi contro Samu era fuori discussione.

A cena finita, il piano entrava in azione e il Fassi prese il turno di lavare i piatti. Approfittava di quell'incarico per fare da guardia e controllare che nessun educatore salisse al secondo piano, quello dedicato ai maschi.

NESSUNA SPERANZADove le storie prendono vita. Scoprilo ora