15. Andare oltre

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Cristian si ritrovò seduto sul pavimento di un furgoncino, tra il bidone dell'immondizia e la cassa. Era indecente, se gliene fosse importato qualcosa si sarebbe fatto schifo da solo. La sua pelle aveva assorbito tutto il dolore. Le ossa stanche, morte, a reggere il suo peso esiguo e i muscoli doloranti.

I suoi vestiti erano sudici di ogni sporcizia che aveva accumulato nella rissa e poi sul pullman e sotto la pioggia e sul pavimento unto del furgoncino. Adesso i suoi capelli puzzavano di fritto e di grasso, oltre che di fumo e di pioggia. Era sporco, così sporco che non sopportava il suo odore, che a vedersi le mani nere di schifo e i vestiti macchiati gli veniva la nausea.

Masticava lentamente piccoli bocconi di una grossa ciabatta che gli aveva preparato sua madre. L'aveva trovata, aveva bussato alla porta del furgoncino, incurante della fila di persone che stava aspettando di essere servita.

Aveva bussato finché sua madre non gli aveva aperto. L'aveva guardato per qualche istante, nessuna sorpresa aveva attraversato il suo volto e poi lo aveva lasciato entrare. Non si sorprendeva neanche più se, dopo mesi di silenzio, sua madre neanche si stupisse di quanto fosse cresciuto come facevano tutte le altre madri.

Cristian sapeva che cosa sarebbe successo dal momento in cui era entrato sul furgoncino lurido: si sarebbe seduto per terra in modo da rimanere nascosto dagli sguardi dei passanti e dei clienti e sarebbe rimasto zitto e buono per tutto il tempo. Quando la folla si sarebbe dileguata, ognuno con il proprio paninone farcito in mano, forse Agata gliene avrebbe preparato uno per lui e lui l'avrebbe mangiato come se fosse la prima cosa che mangiava in tutta la sua vita.

Il panino era grosso e caldo e saporito, unto di lardo e salsiccia cotta nel vino. Gli diede anche un bicchiere di birra scura e Cristian la trangugiò in un istante.

Agata era invecchiata dall'ultima volta che l'aveva vista, oppure era solo stanca. Tante piccole rughe le si erano formate intorno alle labbra carnose. Da giovane si curava, si metteva sempre la crema per il viso prima di andare a dormire, poi aveva smesso perché non c'erano più soldi per curarsi. C'erano soldi per bere.

Si assomigliavano, madre e figlio. Avevano gli stessi occhi grandi e le stesse labbra carnose, gli stessi capelli ricci e castani, lo stesso sorriso e, persino, la stessa fossetta ai lati della bocca. In quel momento, avevano entrambi il viso sfatto e le ossa distrutte.

Agata si accese una sigaretta, si sedette sullo sgabello dietro al bancone, vicino allo stereo portatile. Girava Giudizi Universali di Samuele Bersani e Cristian stava affogando nelle lacrime da quando la canzone era iniziata. Se si concentrava bene poteva sentire in bocca il sapore di cannella, di fumo e di Burberry sottomarca e di dopobarba e le labbra screpolate di Samu sulle sue.

«Io sto messa così perchè lavoro» disse Agata «Qual è la tua scusa?»

Il tono di voce profondo e lento. Prese un tiro dalla sigaretta umida di saliva e l'odore di fumo si andò a mischiare a quello del cibo. L'aria era pesante di grasso e di olio da frittura vecchio e faceva venire la nausea.

«Che te ne frega?» domandò Cristian, con uno sguardo di astio sommerso dalle lacrime.

Sua madre scrollò le spalle e si allungò ad afferrare il suo bicchiere di plastica, mezzo pieno di birra, o qualcosa di più forte. Segni di rossetto erano appiccicati sul bordo e Cristian immaginò che sua madre stesse bevendo da quel bicchiere da tutto il giorno, senza mai cambiarlo.

«Guarda qui» disse mentre si faceva saltare una striscia di smalto secco dalle unghie mangiucchiate e quella cadde nel bicchiere.

«Ha voluto venticinque euro per ste unghie di merda»

Sospirò e alzò lo sguardo su Cristian, poi sospirò di nuovo come se il figlio non potesse capire.

«Sei scappato dalla casa in cui stavi?» chiese «I tuoi genitori saranno preoccupati»

NESSUNA SPERANZADove le storie prendono vita. Scoprilo ora