13. Tutto è sopportabile se...

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«Allora ti sei fatto vivo» 

Non era una domanda ma suonava come se lo fosse.

Il ragazzino tarchiato interruppe il silenzio con quella domanda-affermazione sputata in faccia a Samu. Poteva avere al massimo quindici anni oppure l'età di Cristian, che ne faceva diciassette a dicembre.

Continuò: «Pensavamo che ti eri rifugiato tra le braccia della mamma»

Lo sguardo di Samu si scurì ma lui non rispose. Era la prima volta che Samu non saltava su tutte le furie per una parola di troppo, stava tenendo sotto controllo la sua impulsività e farlo gli stava costando tantissimo. L'aveva imparato a sue spese, tanto tempo fa: non importa che cosa fai ma come lo fai perchè la percezione è potere.

«Pensavate di avermi deluso?» domandò Samu con voce calma e controllata. Si fece saltare il coltello tra le mani, una chiara comunicazione non verbale. Moz annuì con approvazione.

Era fiero, finalmente, di Samu.

«Pensavate di non avermi fatto diventare uomo?» domandò ancora e poi, rivolgendosi al ragazzo tarchiato, disse: «Ti conviene chiudere la bocca se non vuoi vedere quanto sono diventato uomo»

Quello, effettivamente, chiuse la bocca e Moz annuì di nuovo. Non sapeva, il ragazzo tarchiato, quanto vicino alla verità fosse arrivato: Samu aveva paura, avrebbe voluto tuffarsi tra le braccia della mamma in quel momento.

Ce l'aveva tutta dentro, mica poteva esternarla; Cristian si ricordava che Samu gli aveva detto che se suo fratello avesse scoperto che si comportava come una femminuccia gli avrebbe tagliato la gola fino alle palle solo per vedere se ce le aveva.

Aveva detto che lo avrebbe fatto anche per poco, per avere qualcosa di cui parlare al bar. Senza remore e senza pietà, così era il fratello di Samu.

Cristian era inorridito di fronte alla crudezza di quella affermazione che non aveva più toccato l'argomento. Aveva rinnegato quella parte di Samu, forgiata nella violenza del quartiere criminale in cui era nato e adesso si trovava lì, spettatore proprio di quel lato del suo ragazzo che sperava di non dover mai vedere.

Moz grugnì e, come se fosse un comandante dell'esercito, le reclute interpretarono quel segnale e si disposero in un gruppo più ordinato. I coltelli erano pronti per essere afferrati con facilità. La posizione strategica dei due gruppi di guerrieri in miniatura permetteva di farsi male a vicenda nel modo più semplice e immediato possibile.

Cristian si guardò intorno, lui non possedeva nessun coltello. Afferrò un coccio di vetro dalla strada e sperò che non avrebbe dovuto usarlo mai per difendersi. Il suo piano non era definito ma lo scopo era chiaro: proteggere Samu.

Era arrivato il momento di cominciare, avevano anche aspettato troppo.

La vana speranza che il duello fosse rimandato a causa della pioggia torrenziale svanì quando iniziarono le urla.

Cristian aveva sperato fino all'ultimo che Moz alzasse la voce per decretare la fine di quella stupida rissa, magari l'avrebbero rimandata e lui sarebbe stato capace di convincere Samu a scappare. Era pronto per scappare, non aveva nulla che lo teneva legato alla sua città, non avrebbe avuto rimpianti nell'andarsene.

Anzi, un rimpianto l'avrebbe avuto. Il suo rimpianto sarebbe stato quello di non essere stato in grado di proteggere sua madre. Non ne era mai stato capace e più il tempo gli sfuggiva dalle mani, più sua madre si allontanava da lui.

Un giorno si sarebbe pentito di non averla cercata un'ultima volta anche se a lei non importava nulla di lui e, probabilmente, gli avrebbe chiesto di andarsene e lasciarla vivere che era troppo giovane per badare ad un figlio.

NESSUNA SPERANZADove le storie prendono vita. Scoprilo ora