8. Anomalo

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Agosto, 2018


Cristian disprezzava i pranzi in comunità. Odiava quando le finestre aperte lasciavano entrare l'afa di agosto e la neuropsicologa si faceva aria con il ventaglio. Si scompigliava tutti i capelli e alcuni cadevano sulla tovaglia bianca, tra le briciole del pane.

Odiava quando i peli sotto i braccioni del San Adeodato uscivano dalla maglietta.

Odiava i visi madidi di sudore e le canottiere.

Odiava l'estate.

L'unica cosa che apprezzava dei pranzi in comunità era che Samu non era presente. Lo evitava da settimane.

Si colpì la coscia con una mano mentre ascoltava distrattamente il Fassi discutere con il Giorgione di dove sarebbero andati quel giorno. Una zanzara si contorceva sulla pelle ruvida della sua gamba, Cristian alzò lo sguardo sulla tavola e non gli concesse la grazia di morire.

La maggior parte dei pomeriggi li passava per strada. Si appostava davanti alla casa dove vivevano i suoi genitori finché la Funcia non usciva con il trucco irrancidito e la solita sigaretta tra le labbra screpolate. I riflessi del sole di agosto le scivolavano sui capelli corti e riccioluti, simili ai suoi. A volte si appostava davanti al portone di casa, dietro ai bidoni della spazzatura, per ore e solo per assicurarsi che la Funcia fosse ancora viva.

Si appostava la mattina presto, così non incontrava Samu quando usciva per andare a lavorare in officina e aspettava che la Funcia uscisse e, solo quando la perdeva di vista, se ne andava via. Non la seguiva, non le parlava, nessuno dei due sembrava accorgersi dell'altro, come se non si conoscessero. Se Agata, la Funcia, si accorgeva di Cristian lo ignorava e Cristian si faceva ignorare volentieri.

Solo una volta l'aveva seguita, con la pioggia che gli entrava nel colletto della giacca e che gli rendeva difficile tenerla d'occhio. Era stato faticoso seguirla. L'aveva fatto la mattina che la Funcia se ne era andata mano a mano con un uomo che non era suo padre ma, che non fosse suo padre, poco importava.

L'aveva seguita fino al piazzale dello stadio e si era avvicinato a lei solo quando l'uomo misterioso se ne era andato.

La Funcia lavorava su uno di quei furgoncini sulle strade che vendevano i panini farciti e, così, Cristian ne aveva preso uno con il lardo e le frattaglie fritte. Sua madre glielo aveva confezionato con le dita tremanti gialle di nicotina e non si era neanche tolta la sigaretta dalla bocca per farlo, forse perchè lo aveva riconosciuto, forse perchè era così inebetita dall'alcol, anche a quell'ora della mattina, che non le importava se un po' di cenere cadesse nel panino di un cliente.

La Funcia aveva, quando beveva, un demone negli occhi simile a quello di Samu ma, se quello di Samu portava a rabbia, il suo portava alla disperazione. Mannaggia, quanto si disperava la Funcia quando beveva, si buttava per terra e si strappava i capelli. Bisognava accudirla come una bambina quando beveva troppo.

La sua regola era: bere il lunedì e il venerdì più di tutti gli altri giorni e, poi, nel fine settimana non alzarsi dal letto.

Quando vivevano ancora nella stessa casa era Cristian che si occupava di lei e, mentre le preparava un té caldo che la Funcia poi buttava nella terra di una pianta secca sul davanzale, lei gli raccontava la sua vita come se stesse parlando con un'amica. Aveva questo difetto, tra gli altri, che si apriva troppo con le persone. Gli raccontava che aveva cercato di abortire di nascosto con l'aiuto di una zingara perché non voleva avere figli, che aveva uno zito in Sicilia e che avrebbe voluto sposare lui ma era stata costretta a lasciarlo per volere del padre e quelle robe lì.

NESSUNA SPERANZADove le storie prendono vita. Scoprilo ora