«Allora, obbligo o verità?» domandò Lorenzo.
Attraversarono via Principe Amedeo in silenzio, con le mani nelle tasche, l'uno al fianco dell'altro. C'erano solo loro nella strada e pochi altri, gli invisibili, i senzatetto che se ne stavano ai lati delle strade del centro di Torino. Erano così tanti che sembrava che fossero diventati parte di quelle strade, una lastra di pietra che costituiva il marciapiede oppure un pilastro che reggeva in piedi i portici. E, come una pietra che costituiva una strada o un pilastro che reggeva un portico, loro venivano ignorati alla stessa maniera.
«Non stiamo giocando, non so come devo dirtelo» disse Cristian.
Si era riscosso dai suoi pensieri con un balzo. Stava pensando al futuro, al momento in cui anche lui sarebbe diventato una piccola lastra di pietra da calpestare.
Infondo, sua zia glielo diceva sempre. Tu finisci così, gli diceva. Cristian stentava a credere che una creatura crudele come sua zia potesse stare con un'anima tanto pura come lo era suo zio, lo zio che gli passava le caramelle alla cannella sotto il letto quando i suoi genitori litigavano.
Glielo ripeteva ogni volta che lo vedeva, dall'alto del suo musone, con quella sigaretta umida tra i denti per tutte le volte che finiva di fumarla, la conservava e poi la riprendeva tutta ammuffita per continuare a fumarla.
«Va bene. Quindi?» domandò Lorenzo.
Cristian ruotò gli occhi al cielo e rispose: «Verità. So che mi obbligheresti a fare qualcosa di stupido»
«Pensi troppo male di me, Cristian senza l'acca» disse Lorenzo e Cristian senza l'acca sbuffò. Lo stava portando all'esasperazione, un tipo di esasperazione che nasce dalla cocciutaggine. Era il tipo di esasperazione mista a disperazione che provava quando cercava di insegnare al Giorgino che il soluto disciolto nel solvente dà la soluzione e non il contrario. A volte pensava che il Giorgino volesse solo provocarlo ed era per questo che continuava a ripeterlo in modo sbagliato.
«Raccontami qualcosa di te che nessuno sa» chiese Lorenzo.
Cristian sbuffò: «Che palle! Si fanno domande stupide, tipo chi preferisci tra Beatles e Rolling Stones oppure se preferisci l'acqua frizzante a quella naturale. Non sai giocare?»
«Ma è noioso giocare così!» decretò Lorenzo «E poi non posso togliermi la mia tunica da filosofo e abbassarmi al tuo livello, devo mantenere certi standard»
«Hai davvero una tunica da filosofo? Nel caso non ti costringerei mai a togliertela» disse.
Ci pensò un momento, si chiese se fidarsi di Lorenzo. La sua mente aveva bisogno di sfogarsi, di raccontare qualcosa che nessuno sapeva perché Cristian avrebbe voluto rivelare a Lorenzo tutto della sua vita, avrebbe voluto che Lorenzo lo conoscesse. Sentiva il bisogno che qualcuno lo conoscesse, un bisogno essenziale come quando chi, in punto di morte, ha paura di non lasciare nessun ricordo buono di sé, come chi ha tutto dentro e deve confessarsi, condividere il peso del tutto solo per un momento, solo per prendere fiato.
C'era una forza attrattiva in Lorenzo che trascinava e persuadeva ma non lo faceva con malizia. Lorenzo era buono ma non un bonaccione, era gentile ma non un insicuro, era persuasivo ma non un manipolatore.
Fece che fidarsi e disse: «Sono stato in comunità fino a questo esatto giorno, il giorno del mio compleanno. Ho fatto diciotto anni e me ne sono andato. Fine»
Lorenzo annuì e poi disse: «Okay. Adesso tocca a me»
«Come, come, come?» domandò Cristian con posa stupita «La gente mi umilia o mi insulta o ha paura di starmi vicino quando dico una cosa del genere. Non spaventarmi, abbi anche tu paura o disgusto di me, per favore»
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NESSUNA SPERANZA
RomansaCristian si porta il dolore a cavalcioni sulle spalle, come un bambino. Ha le stelle negli occhi, grandi ambizioni e grandi ideali, sempre abbondantemente sopra i suoi mezzi. Illudersi è uno sfizio, sperare è un'utopia. Samu, negli occhi, ha solo u...