11. Noi, i bravi ragazzi della periferia

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Quindi, Cristian non se la sentiva di contraddire Samu. Sapeva che infondo aveva ragione: nella vita, aveva solo lui.

E per lui che non aveva mai avuto nessuno, avere Samu al suo fianco era una grande consolazione.

Cristian storse le labbra in una smorfia sofferente e Samu gli lasciò andare la mano che stava diventando dolorante nella sua presa ferrea.

Un sospiro di sollievo gli scappò dalle labbra.

«Non mi sei mancato per niente» mormorò Cristian, con la stessa smorfia che lo faceva sembrare un bambino di sei anni. Forse lo era un bambino rinchiuso nel corpo di un adolescente di un metro ottanta e cinquantasei chili.

Samu schioccò la lingua sul palato e alzò i sopracciglioni fino all'attaccatura dei capelli.

«Tu hai bisogno di me» disse.

Cristian soffiò in una risata: «Sei davvero spiritoso per essere un idiota»

Samu lo guardava in faccia con quegli occhi di fuoco nero, se Cristian avesse avuto una fotocamera con cui scattargli una foto ricordo, era certo che il suo sguardo avrebbe bucato l'obiettivo. 

Cristian doveva ammetterlo, Samu aveva degli occhi bellissimi e pieni di rabbia. Cristian immaginava che anche le foto del matrimonio di Samu o della nascita del suo primo figlio sarebbero venute con lui che sembrava sul punto di scoppiare dalla rabbia.

La gamba destra di Cristian era appiccicata a quella di Samu e, nonostante la posizione non fosse delle più comode, a lui piaceva. Gli suggeriva una certa forma di intimità, due amici che si conoscevano da tempo, che si rilassavano insieme, senza badare alla forma.

Samu scorreggiò e poi aprì la bocca in uno sbadiglio.

«E tu sei una palla, sei una cintura di carità» disse Samu.

«Di castità» lo corresse Cristian, alzando gli occhi al cielo «Ma lo vedi che sei un idiota! C'è solo una cosa che ti interessa ed è il cazzo»

«Ecco, allora magari spogliati, se già lo sai, che così evitiamo parole inutili»

Cristian sospirò ma, ugualmente, si tolse la maglia.

«Infondo ti voglio bene» disse e vide Samu sorridere, un sorriso sincero che fu interrotto dal nero della sua maglia che veniva tirata su e scaraventata sul pavimento freddo del bagno.

«Infondo, siamo legati» disse Samu, aiutandolo a togliersi i pantaloni.

«Dove lo trovi uno come me? Siamo simili, siamo cresciuti nelle stesse condizioni. Non c'è nessuno che potrà capirti come faccio io»

La consapevolezza che Samu aveva ragione arrivò in quel momento per Cristian, proprio quando Samu gli stava baciando il petto, giù lungo lo sterno e la linea dell'ombelico.

Samu aveva ragione: lo avrebbe sempre conosciuto meglio di tutti, conosceva la sua sofferenza senza che Cristian gliel'avesse mai spiegata. Anche Samu aveva una famiglia disfunzionale, viveva in una comunità e non aveva nessuna speranza di una vita migliore.

Cristian si chiese per un attimo se era quella la sua profondità. Era il non avere una famiglia, una casa, una vita che lo rendevano un'entità? Oppure c'era altro di lui che Samu avrebbe potuto conoscere?

Tutte quelle domande furono spazzate via dalla sua testa quando Samu lo prese in bocca. Deglutì sonoramente, non sapeva dove mettere le mani e così decise di appoggiarle sulle spalle di Samu che si muovevano su e giù.

Cristian pensò che una vita con Samu, così nascosti in un bagno a condividersi, gli sarebbe andata bene. Nascosto ma soddisfatto, non ricambiato ma felice. Si chiese se Samu lo avrebbe mai amato nel modo in cui lui lo amava.

NESSUNA SPERANZADove le storie prendono vita. Scoprilo ora