19. Calypso

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Mani che si intrecciano, corpi che si toccano, piedi che saltano, bocche che si baciano. Le luci stroboscopiche illuminavano Lorenzo di viola, di verde e di giallo, l'aroma del glicerolo si annidava tra le narici e dava, in poche ore, un assordante mal di testa.

Uomini che baciano uomini. Donne che baciano donne. Donne che baciano uomini.

E poi, triadi di donne e uomini che si baciano, ad occhi chiusi, spingendosi contro i muri.

Nessuno andava a bussargli sulla spalla per avvertirli che non potevano usare i muri come se fossero letti. A nessuno importava, ognuno pensava ai propri scambi di saliva e ai propri sfoghi fisici, nessuno aveva il diritto di giudicare gli altri al Calypso. Nessuno doveva giustificarsi al Calypso.

«Ti piace?» domandò Lorenzo. Cristian sentiva le sue labbra che gli sfioravano l'orecchio. Annuì, tanto Lorenzo non lo avrebbe sentito se avesse risposto verbalmente. 

Non sarebbe comunque riuscito a parlare, lo spettacolo del Calypso lo aveva lasciato trasecolato. Davvero, non si sarebbe mai aspettato che esistessero posti come il Calypso fuori dalle serie televisive teen drama che facevano milioni di visualizzazioni sulle piattaforme a pagamento.

Da dove veniva lui non c'erano discoteche, i ragazzi passavano il loro tempo nelle strade e i più tranquilli monopolizzavano i parchi gioco e se ne stavano seduti lì per ore intere.

Si chiese perché Lorenzo avesse scelto di portarlo lì. Lo studente di filosofia, tranquillo e alla mano, l'aveva appena portato al Calypso, la discoteca più chiassiosa in cui Cristian avesse mai messo piede.

Vabbè, non aveva mai messo piede in un'altra discoteca ma gli sembrava piuttosto chiassosa. E caotica. E disordinata.

«Mi piace quando la gente si fa i fatti propri» disse Cristian. 

A Samu sarebbe piaciuto questo posto. Non lo disse, però lo pensò.

Samu. Quattro lettere, due sillabe. La sua rovina.

«Altrimenti mordi» disse Lorenzo «Guai se qualcuno si impiccia nei fatti tuoi!»

Lorenzo lo stava abbracciando e lo incoraggiava con il suo corpo ad ondeggiare sulle note delle canzoni del momento.

Vabbè, non lo stava abbracciando. Aveva solo appoggiato le mani sulle sue spalle.

«Non prenderti troppe confidenze» disse Cristian quando le mani di Lorenzo si spostarono e si ancorarono ai suoi fianchi nel tentativo di farlo muovere.

«Ma è tutto nei fianchi!» esclamò Lorenzo «Lasciati andare, non assalterò la tua cintura di castità»

Quando la canzone terminò, Lorenzo scosse la testa ripetutamente e gli urlò che il ballo non era cosa sua. 

Allora lo portò in un'altra delle sale del Calypso.

Si mise una sigaretta in bocca, la accese e aspirò una boccata di fumo e poi gliela passò. Erano nella sala fumatori. La musica rimbombava sulle pareti delle altre sale del Calypso e risultava stucchevole alle orecchie di Cristian, adesso che non c'era immerso.

«Perchè non mandi giù il fumo, lo sai che non si fuma così?» gli domandò Lorenzo «Tuo padre non ti ha mai fatto provare la prima sigaretta?»

«Mio padre lascialo dove sta» rispose Cristian con la voce roca e gli occhi appannati dal fumo della sigaretta e dal fumo della discoteca. Nella sua testa c'era l'immagine di Scianchetta all'inferno.

«Mio padre mi ha comprato le prime sigarette. Mi ha detto se vuoi provare, te la faccio provare io la prima sigaretta ma non farlo da solo. Non ho mai capito il perché»

NESSUNA SPERANZADove le storie prendono vita. Scoprilo ora