23. Lola n.p.f. sign. Lady of Sorrows

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Lorenzo e Cristian ci arrivarono al Jester, un pub in stile irlandese con i soffitti a volta e i tavoli in legno massiccio. Scivoli di polvere danzavano negli angoli di luce prodotti dai lampadari.

Il Jester era caotico, turpe e teneva aperto tutti i giorni dell'anno, persino il giorno di Natale, anche quando il Caffè delle Idee e il Calypso si prendevano una pausa per le feste.

Lorenzo si era ripreso dalle sue confessioni con Cristian e adesso sorseggiava una birra scura.

Le loro dita, piccoli ossicini bianchi, erano rimaste intrecciate per un tempo indefinito, il tempo che serviva a entrambi per elaborare quelle confessioni pesanti, senza ancora avere elaborato il fatto che si conoscevano meglio.

Mi conosci meglio di ieri, aveva detto Lorenzo. Cristian non ci aveva dato peso a quella frase, l'aveva liquidata con una battuta ma la consapevolezza del fatto che conosceva Lorenzo meglio di ogni altra persona l'aveva spiazzato. Lo conosceva meglio di quanto conoscesse Samu, di quanto conoscesse i suoi genitori e...i nomi sulla sua rubrica del telefono si fermavano qui.

Ci aveva pensato per tutta la notte.

Si erano salutati sul tardi, quando il cielo era già buio pesto e l'umidità entrava nelle ossa e costringeva a stringersi nei cappotti. La stanchezza gli era salita agli occhi e aveva appesantito le palpebre. In nottate come quella si sperava solo di poter chiudere gli occhi e dormire. Il cervello avrebbe elaborato le informazioni della giornata nel sonno e l'indomani mattina si potevano conservare nuovi dolci ricordi. Ricordi di dita intrecciate e di baci.

Un bacio sulla guancia, gliel'aveva dato Lorenzo, in segno di saluto.


Lorenzo era tornato a casa e non si era accorto di essere tornato a casa finché non si era trovato davanti alla porta. I suoi piedi si erano mossi da soli, il suo cervello come la voce metallica di Google Maps li aveva guidati attraverso le strade nella direzione che conoscevano bene. Perché, nonostante tutto, la strada di casa non si dimentica. Resta incisa nella mente come la piantina di un'appartamento dove si trascorrono intere giornate oppure come le strade di un corpo che si conosce bene.

Nella cucina di casa sua, sorseggiava un cicchetto di tequila appoggiato al bancone.

Sì, lo sapeva bene che non si sorseggiava il liquore liscio ma a lui piaceva così.

Da quella posizione vedeva il salotto. Sul divano sedevano Lola e Monica, chiacchieravano come due vecchie signore all'ora del tè.

Monica reggeva un tascabile chiuso tra le mani sottili, piccole come quelle di una bambina. Se gliel'avessero chiesto, avrebbe certamente risposto che stava leggendo un classico ma Lorenzo sapeva che, in realtà, quello che reggeva tra le mani era un romanzo di Federico Moccia. Che poi, non aveva ancora capito perché mentisse sulle sue letture. Da anni, ormai.

Lui non aveva vergogna di quello che leggeva. Ogni titolo che tirava fuori dalla lista di ''libri che erano stati censurati'' facevano storcere le labbra a sua madre ma, ancora, non capiva il perché.

Lola si passava un filo di capelli tra l'indice e il pollice, lo lasciava cadere e poi ne prendeva un altro. Lola aveva i capelli lunghi e ricci e voluminosi, tipici delle donne originarie delle isole dei Caraibi. Lola era stata benedetta, aveva la pelle del colore della sabbia bagnata e due occhi splendenti che sembravano l'acqua cristallina dell'oceano vicino a cui era nata. Era proprio bella. Bella e aggraziata.

E anche intelligente.

«Smettila di bere» gli disse dal divano. Lorenzo ne vedeva solo il profilo ma le sue labbra erano ridotte ad una linea sottile. Sgranò gli occhi, mandò giù il liquore e poi connesse il cervello: iniziava ad ascoltare e a capire.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Sep 19, 2024 ⏰

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