12. Nel mezzo

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Novembre 2018


Cristian aveva fatto un salto pindarico, dal nulla al tutto nel giro di poche settimane.

Poi era stramazzato al suolo.

A novembre, appena dopo due mesi di calma, Samu era tornato ad essere freddo come un termosifone spento nella mattina di dicembre.

«Avevi detto che mi avresti trattato bene» disse Cristian, una sera. Lui parlava e Samu non rispondeva.

C'erano solo lui e Samu in cucina quel giorno e il Fassi. Alternava un tiro di sigaretta ad una frase fatta in vista del compito scritto su Emily Brontë e Cime Tempestose. Il Fassi sapeva sempre le domande delle prove in anticipo e nessuno aveva mai scoperto come se le procurasse.

«Non immaginavo che le tue promesse avessero un limite di tempo ma avrei dovuto aspettarmi che mi avresti deluso» disse ancora Cristian.

Non c'era speranza che Samu gli rispondesse così decise di lasciar perdere. Parlare con lui era diventato inutile.

Samu faceva orecchie da mercante e se ne stava rinchiuso nel suo mutismo selettivo da settimane. Nonostante captasse ogni parola e ogni movimento di Cristian come se avesse le antenne, si limitava ad osservarlo da lontano.

Ma non gli parlava.

E spariva. Per tutto il giorno, nessuno lo vedeva. Ogni volta che finiva di lavorare aveva sempre qualcosa da fare e qualche posto in cui andare e qualche persona da vedere. Certe notti non le passava neanche in comunità.

Cristian non era mai stato un tipo geloso. No, la gelosia era il vortice più profondo in cui sarebbe potuto cadere. La gelosia non aveva senso, la fiducia aveva senso.

Il fatto che Samu, come ogni persona, fosse un'entità con una testa pensante lo detenevano dalla convinzione che dovesse essere di sua proprietà. Samu non era suo e lui non si sentiva di Samu.

«Vorresti fargli mille domande, eh?» domandò il Fassi. La solita sigaretta in mano, gli occhi azzurri fissi sulla cenere che cadeva per terra.

Le mani sulle ginocchia, le domande della verifica di letteratura inconcluse e abbandonate sul divano della sala ricreativa.

Si era preso una pausa e se ne stava seduto sul muretto fuori dalla comunità Santo Stefano a svolgere la sua attività domenicale preferita: guardare la gente passare e giudicarle silenziosamente.

Studi avrebbero chiarito, un giorno, che gli occhi del Fassi, se fissati a lungo, portavano alla pazzia.

«A chi dovrei fare mille domande?» domandò Cristian.

Rifiutò la sigaretta che il Fassi gli aveva offerto, non avrebbe mai accettato di fumare con qualche maschio avvenente dagli occhi azzurri e quello continuò:

«A Samu» rispose il Fassi «E a chi sennò?»

Cristian aggrottò le sopracciglia. Domande, tante domande stupide gli si accavallavano nella mente.

«Perché dovrei parlare con lui?» chiese Cristian.

Il Fassi sbuffò, rilasciando anche una boccata di fumo dalla bocca. Sembrava una locomotiva che sbuffava.

«E non fare il finto tonto che non sei bravo a fingere» disse il Fassi con un ghigno «E anche perché v'ho visto a voi due sozzoni!»

Cristian aprì la bocca e poi la richiuse.

«Non ho idea di che cosa parli» rispose Cristian.

In quelle poche settimane che lui e Samu erano stati felici, tra il mese di settembre e il mese di novembre, avevano parlato. Tanto.

NESSUNA SPERANZADove le storie prendono vita. Scoprilo ora