Cristian fece un sogno insolito.
Sognò la metro delle due e quaranta.
Singolare, davvero.
La rivide in sogno come era nella realtà ma la realtà era completamente distorta. C'erano tutti i suoi compagni ma non portavano i soliti felponi ingrigiti, più larghi della loro taglia e i pantaloni bracaloni che facevano intravedere l'elastico delle mutande. Erano eleganti, erano vestiti con la giacca e la cravatta e i biglietti in mano per passare il tornello.
Il Cristian del sogno si tastò le tasche della giacca da smoking, in quella interna ci trovò un biglietto per il teatro. L'Aida di Verdi.
Si aggiustò la cravatta e poi pensò: che strano, io non me lo so fare il nodo alla cravatta.
La macchina era vuota, viaggiava veloce tra le gallerie buie del sottoterra e l'unica luce che illuminava le carrozze era accecante e di un giallo intenso. Cristian ascoltò le stesse battute sconce del Fassi e le risate baritonali del Giorgione come uno spettatore silenzioso, un osservatore discreto. Vestito in quel modo, anche il Giorgione sembrava quasi sofisticato, quasi sveglio.
Cristian si guardò intorno e, in fondo alla carrozza, qualcuno li guardava.
Quel qualcuno assomigliava al Fassi ma aveva una bellezza diversa. Gli occhi azzurri erano più brillanti e i capelli erano più chiari. La pelle liscia era bianca come il latte. I suoi lineamenti erano meno spigolosi e più armoniosi, tipo quelli di una femmina o di un maschio molto delicato.
Cristian ricambiò il suo sguardo e non appena lo incrociò, quello abbassò gli occhi sul libro che teneva tra le mani. I suoi occhi insanguinati erano di un bell'azzurro pulito e restavano fissi sulla pagina, le mani tremavano leggermente dove stringeva il libro. Avvertì una cosa e una cosa soltanto: un forte istinto di protezione verso di lui. Era richiamato da lui, qualcosa lo spingeva a prenderlo tra le braccia e non lasciarlo andare. Si avvicinò e il Fassi, il Giorgione e il Giorgino svanirono nel nulla, lo sconosciuto non aveva più in mano il suo libro ma una pistola e gliela puntava contro.
Nell'attimo millesimale di un battito di ciglia, al posto dello sconosciuto, c'era seduto Samu. Indossava la giacca e la cravatta, come tutti gli altri ma non gli donavano per niente.
Gli prese la mano e lo accompagnò verso una bara aperta, ce lo spinse dentro e Cristian si svegliò di soprassalto.
Si rese conto che aveva dormito sulla spalla di Samu. Non aveva più l'auricolare nell'orecchio e il collo e la schiena gli facevano male.
Si mise a sedere composto, lentamente, aveva un alito terribile e la caramella alla cannella appiccicata alle gengive, lo zucchero gli aveva incollato le arcate dentarie.
Si guardò intorno, era ancora nella stanza degli educatori e l'orologio a muro segnava le dodici e quaranta, quindi erano passati solo quaranta minuti dall'inizio della punizione. Samu era seduto sulla sedia di fianco alla sua e stava compilando i fogli delle domande per San Adeodato, uno era il suo.
«Ben svegliato, principessa»
Cristian deglutì la saliva amara che gli si era accumulata in bocca e si leccò le labbra per assicurarsi che non gli fosse uscita della bava dalla bocca mentre dormiva.
Samu gli lanciò uno sguardo veloce, fece un mezzo sorriso e poi posò la penna bic quattro colori sui fogli. Tirò fuori da una delle tasche dei pantaloni un piccolo cilindro di plastica, un rossetto che Cristian conosceva bene. L'aveva rubato dalla camera di Elena-la-seduttrice quel giorno che avevano fatto sesso.
Sì, se lo ricordava bene che l'aveva rubato, non lo aveva preso per sbaglio.
«Mi hai frugato nelle tasche?» domandò, la voce impastata dal sonno. I meccanismi del suo cervello erano troppo lenti per fargli intendere la gravità della situazione, gli suggerivano: che sarà mai, lascia perdere.
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NESSUNA SPERANZA
RomanceCristian si porta il dolore a cavalcioni sulle spalle, come un bambino. Ha le stelle negli occhi, grandi ambizioni e grandi ideali, sempre abbondantemente sopra i suoi mezzi. Illudersi è uno sfizio, sperare è un'utopia. Samu, negli occhi, ha solo u...
