La sigaretta si stava consumando tra le dita di Lorenzo.
Il fumo si mescolava alla condensa e saliva verso il cielo in una nube perlacea.
Con una mano reggeva la sigaretta e con l'altra un tascabile dalla copertina rilegata in pelle marrone.
Non aveva mai alzato gli occhi dal libro, da quando Cristian aveva iniziato a guardarlo.
Leggeva fuori dal Caffè delle Idee ma con lo sguardo rivolto all'interno. Leggeva una pagina, faceva un tiro di sigaretta e girava pagina.
Cristian si chiedeva se lo sentisse, il suo sguardo. Probabilmente non lo sentiva, considerando che non aveva ancora alzato gli occhi.
Si tastò la tasca dei pantaloni e lì, accartocciato, c'era ancora il foglio con scritto il suo numero di telefono. Era stato tentato di mandargli un messaggio ma poi non lo aveva fatto.
Perché non lo aveva fatto?
Paura. Timidezza. Indecisione.
Aveva esagerato l'ultima volta e non credeva che nessuno avesse il buon cuore di perdonarlo.
Su quel foglio stropicciato c'era scritto anche il suo nome. Lorenzo. Cristian aveva passato la serata, sulla sua brandina-letto nello sgabuzzino del Caffè delle Idee, a farsi rotolare in bocca il nome di Lorenzo.
Lo-ren-zo, tre sillabe che dovevano battere sul suo palato per essere pronunciate.
Poi si era fatto una sega su quella brandina perché gli andava e si era sentito bene. Era una necessità piacevolmente liberatoria, non un vizio disgustosamente piacevole.
Cristian alzò gli occhi dal bancone, per l'ennesima volta, aspettandosi di incontrare il ciuffo biondo di Lorenzo e, invece, Lorenzo aveva alzato lo sguardo e stava guardando lui. Gli sorrise con gli occhi.
Cristian si guardò intorno, a quell'ora della sera il Caffè delle Idee era vuoto. Avrebbe potuto chiudere il locale qualche minuto prima e attraversare la strada, mettersi di fronte a Lorenzo e dirgli una parola o forse due. Scusa o mi scuso. Mi scuso per il mio comportamento di ieri. Si chiese per un momento se non sarebbe apparso come uno scolaretto impacciato di fronte ad un professore. Lorenzo emanava le arie di un professore, di un professore buono.
Prese una decisione quasi istantaneamente e si disse che se se ne fosse pentito, nulla sarebbe stato più disastroso del primo incontro, quando gli aveva urlato contro. Si strinse nella felpa e camminò verso di lui, Lorenzo aveva riposto il libro da parte e lo guardava avvicinarsi.
«Mi chiedevo quando ti saresti avvicinato» disse. Le parole uscirono in una condensa bianca.
Cristian prese posto sulla panchina, al suo fianco.
«Mi stavi guardando» rispose, stringendosi nelle spalle.
Accettò la sigaretta che Lorenzo gli porse e aspirò, non come gli aveva insegnato a fare Samu. Tenne il fumo in bocca e poi lo soffiò fuori, gli piaceva il sapore del tabacco e gli piaceva il peso di una sigaretta tra le dita ma non gli piaceva ingoiare il fumo perchè dopo sentiva che l'esofago diventava una distesa arida.
«Tu mi stavi guardando» precisò Lorenzo.
Evidenziò il tu e Cristian si chiese come fosse possibile che si fosse accorto che lo stesse guardando se non aveva mai alzato lo sguardo dal suo libro. Forse, infondo, l'aveva avvertito il suo sguardo su di lui e, anche se non l'aveva visto, lo sapeva che lo stava guardando.
Oppure aveva tirato ad indovinare e la fortuna l'aveva premiato.
Lorenzo lo guardava, spudoratamente. Il suo sguardo adamantino, così puro, lo metteva in imbarazzo, lo disturbava tanto che pensava che avrebbe preso fuoco.
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NESSUNA SPERANZA
RomanceCristian si porta il dolore a cavalcioni sulle spalle, come un bambino. Ha le stelle negli occhi, grandi ambizioni e grandi ideali, sempre abbondantemente sopra i suoi mezzi. Illudersi è uno sfizio, sperare è un'utopia. Samu, negli occhi, ha solo u...
