Capitolo 9- Safe in dad's arms

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Subito dopo cena vado in camera mia per cercare di dormire: in questi ultimi giorni vorrei riposarmi il più possibile dato che, molto probabilmente, non chiuderò occhio nell'arena.

Dormire significherebbe essere più esposta ai nemici, essere una facile preda ed io non voglio morire dormendo, anche se non sarebbe una morta dolorosa: voglio morire combattendo per la vita.

Cerco di chiudere gli occhi, ma molti pensieri occupano spazio nella mia mente che non riesce ad essere abbastanza sgombra per riposarsi.

Domani conoscerò ufficialmente tutti i miei avversari, guarderò in faccia il mio assassino o la mia vittima.

Guarderò in faccia gente che morirà, gente che perderà la famiglia, gente che tornerà a casa, ma con la coscienza sporca e il cuore vuoto.

Si sa: i giochi cambiano le persone, hanno cambiato i miei genitori, gli hanno segnato la vita e la loro vita non smetterà di essere tragica... né ora né mai.

Vorrei vendicarmi di tutto ciò che gli hanno fatto, ma non so nemmeno come; rischierei di causare nuovamente caos, non sono in grado di gestire situazioni più grandi di me.

Sarò un semplice tributo o meglio una pedina dei loro giochi.

Questo sono i tributi: schiavi di Capitol, pedine che si muovono a loro piacimento e rischiano, ad ogni loro movimento, di cadere dalla scacchiera e rompersi.

Ci danno la vita per poi togliercela, che assurdità.

Ci danno il bene e poi il male.

Ad ogni cosa buona dev'essercene una cattiva, come una specie di antagonista.

In quel momento entra Annie in camera con un vassoio: sul vassoio c'è una tazza di cioccolata calda.

"Grazie" sussurro.

La tazza è molto calda, il che va bene dato che ho le mani fredde.

Annie fa per andarsene, ma io la fermo.

"Tu sei Annie Cresta, vero?" domando.

Lei si rivolta verso di me ed annuisce.

"Tuo figlio è Finnick Junior?" chiedo.

Annuisce di nuovo.

Chi sa cosa si prova a non poter parlare, come si può esprimere ciò che provi o ciò che pensi senza la parola?

Magari con i movimenti corporei.

Mi avvicino di più a lei e vedo che indossa un medaglione.

"E' bellissimo" dico, toccando la piccola collana.

Abbozza un sorriso e poi lo apre.

C'è la foto di un uomo: dev'essere sicuramente Finnick.

"E'... Finnick?"

Annuisce ancora, ma stavolta con le lacrime che minacciano di uscire.

"Dev'essere stato un grand' uomo, i miei ne parlano sempre" affermo sorridendo.

Annie si asciuga le lacrime, odio vedere le persone piangere perché non so cosa fare.

Un pensiero in quel momento rimbomba nella mia mente: sento una vocina che mi dice: "proteggi Finnick Junior, fallo per lei".

Annie fa di nuovo per andarsene, ma la fermo.

"Annie, io lo proteggerò"

Non posso crederci di averlo detto, ormai è fatta e devo mantenere il patto: devo proteggere Finnick ad ogni costo, ma la sua vita equivale alla mia morte.

I miei genitori, a differenza di Annie, si hanno l'un l'altro e poi hanno Rye... Annie se perde Finnick chi avrà? Nessuno.

In quel momento realizzo che la vita di Finnick vale più della mia.

Chiudo gli occhi e la mia mente comincia a viaggiare.

Mi vedo nell'arena, con Finnick.

C'è anche un altro tributo, apparentemente nostro alleato.

Camminiamo per trovare un rifugio, magari una grotta o va bene anche un albero.

Gli uccelli smettono di cinguettare, tutto è silenzioso e si sente soltanto il rumore di una cosa: lo scoccare di una freccia che colpisce il cuore di Finnick.

Ero stata io: ero diventata selvaggia e maligna, un ibrido.

Mi sveglio urlando e i miei genitori corrono subito da me.

Mio padre si siede sul letto e mia madre mi guarda con compassione.

"Scusate era un incubo" dico, affannosamente.

"Lo sappiamo" afferma mia madre.

"Io...diventavo una selvaggia" comincio a dire.

"Qualcosa che non vorresti mai essere" continua mio padre ad occhi spalancati.

"Papà, tutto bene?" chiedo.

So già la risposta: non va tutto bene.

Prende lo schienale della sedia, stringendolo molto forte, e partono i flashback.

I flashback di quando lo hanno depistato, torturato, privato del suo pensiero.

Le lacrime scendono sul suo viso e mamma lo stringe forte da dietro.

Li guardo per un po', poi mi unisco all'abbraccio.

"Papà... è tutto finito.

Ora hai noi, noi ti amiamo più di qualsiasi altra cosa" dico.

Mia madre mi guarda e sorride, un sorriso vero e spontaneo.

Papà si stacca dallo schienale e abbraccia tutte e due in lacrime.

Sia io sia mamma cerchiamo di farlo ridere perché a noi piace quando lui ride.

Solo ora capisco che il vero fulcro di questa famiglia è lui.

E' grazie a mio padre che questa famiglia va avanti, che stiamo bene anche se distrutti psicologicamente, che mia madre sorride, che ridiamo, che c'è tanto amore nella nostra piccola famiglia.

Tutto grazie a lui.

Se non ci fosse, vivremmo tutti nella disperazione totale, nella depressione e nel dolore.

Ho un rapporto così speciale con lui: ricordo quando mi viziava per rendermi felice, quando assaggiava le mie torte orribili dicendo che fossero buone, quando mi faceva ballare, quando mi insegnava a nuotare, quando mi cantava le canzoni e mi raccontava le storie, quando mi faceva ridere, quando piangeva se stavo male, perché lui detesta il male.

E proprio quando lui stava male, riuscivo a farlo sorridere.

L'idea di perderlo e che proprio a causa mia possa soffrire, mi distrugge però ho fatto un patto: salvare Finnick.

Dovrò accettare l'idea di dirgli addio, voglio trascorrere questi giorni il più possibile accanto a lui.

Ci stacchiamo da lui troppo tardi per accorgerci che l'alba è ormai sorta.

E io non ho dormito, ma almeno mi sono rilassata tra le braccia di mio padre.

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