Moonlight | KNJ

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L'orologio segnava mezzanotte e quarantacinque.
Picchiettai con le unghie sulla cover del mio cellulare, impaziente di ricevere la telefonata di Namjoon.
A quell'ora, di solito, ci si aspetta che tutti dormano, invece io ed il mio ragazzo avevamo programmato di sgattaiolare fuori casa e fare una lunga passeggiata al chiaro di Luna. Lo facevamo spesso all'insaputa dei nostri genitori.
Era qualcosa che ci faceva star bene, perché entrambi preferivamo la notte al giorno.
Il buio non ci faceva paura se eravamo insieme.
A me, in quel periodo, il peso del mondo stava quasi per soffocare.
Chi ero realmente? Non lo sapevo.
Mi interrogavo spesso su questo, ma non riuscivo a trovare una risposta e per questo la mia felicità stava sparendo, giorno dopo giorno.
Namjoon, beh, anche lui stava male, ed io lo sapevo, ma preferiva sempre lasciar parlare me ed aiutarmi nonostante anche lui avesse bisogno d'aiuto.

Mezzanotte e quarantasei.
Uno squillo.
Era il nostro codice segreto: Namjoon era arrivato sotto casa mia.
Presi il mio zaino, chiusi la porta della mia stanza e feci attenzione a non inciampare da qualche parte o rovesciare qualche prezioso vaso di mia madre per terra, come suggeriva il mio istinto maldestro.
Quando uscii e mi chiusi la porta principale alle spalle, non potei contenere un sorriso nel vederlo sorridermi a sua volta.
«Moonie!»
Gli premetti un piccolo bacio sulle labbra, e lui fece lo stesso con me, intrecciando le dita delle nostre mani per dare inizio alla nostra camminata.
Quasi tutte le luci della città si erano spente.
Vi era solo qualche lampione ancora acceso, ma la sua era una luce fioca che a malapena illuminava i nostri volti.
Mi persi a guardare quella lampadina che, a tratti, si spegneva: era così che mi sentivo ogni volta che credevo di aver raggiunto la felicità.
Mi illuminavo di una luce diversa, credevo di essere arrivata finalmente in cima, e poi...

Namjoon mi infilò una cuffietta e riprodusse una canzone da lui cantata, "Moonchild".
Nessuno dei due parlò per tutto il momento in cui la canzone riecheggiava nelle nostre orecchie. Solo quando finì ci guardammo negli occhi.
«Parliamo, T/N.»
La luce della Luna era l'unica cosa che ci stava illuminando in quel momento, perché il lampione si era spento. I suoi occhi percorsero il mio viso e li vidi brillare come se, per lui, non ci fosse nulla di più bello al mondo.
«Guardo tutti gli altri e mi rendo conto di quanto io sia patetica. Tutti si divertono, e si godono la propria vita, sanno chi sono, cosa vogliono essere, cosa vogliono fare. Sono felici. Sembrano spensierati. Allegri. Io, invece, non so chi sono, cosa voglio essere o cosa voglio fare. L'unica cosa che faccio è chiedermi se arriverà un giorno in cui potrò rispondermi, ed un giorno in cui potrò dire di aver finalmente raggiunto quella felicità che tutto il mondo sembra ostentare, tranne me.»
Dopo qualche momento di silenzio, prese a parlare.
«La felicità non è qualcosa che devi raggiungere. Puoi sentirti felice durante il processo di raggiungimento di qualcosa. La gente ha questa mentalità secondo la quale non si può essere felice fino a quando non si ottiene qualcosa di speciale, ma la verità è che si può essere felici anche senza "raggiungere" necessariamente qualcosa. Devi solamente renderti conto di tutto quello che hai attorno, essere grata per le piccole e grandi cose, guardare alla vita in modo diverso.»
Quelle parole mossero qualcosa in me, e lui dovette accorgersene, perché riprese a parlare.
«E nessuno è veramente felice come credi. Le risposte alle tue domande sono già dentro di te, devi solo trovarle e trovare la tua voce per parlare di ciò che ti rende te stessa. Hai davvero bisogno di qualcosa per essere felice? Pensaci bene.»
Guardai la Luna e lei parve rispondermi.

No.

Io non avevo bisogno di quel qualcosa.

Scossi la testa e lo invitai a rispondermi a sua volta, e fu allora che sorrise mostrando le fossette, prima di avvicinarsi alle mie labbra.
«No, nemmeno io ne ho bisogno. Ho già qualcosa di speciale, guarda la Luna, osserva come sta brillando su di noi. Sembra che voglia dirci qualcosa, ed io so già cosa.»
«E cosa?» Lo chiesi mentre mi sporgevo in avanti, con le labbra ad un centimetro dalle sue.
«Ho già ottenuto qualcosa di speciale. Guarda, tu sei qui, accanto a me. La ragione per cui io sono felice è proprio qui, ed io non ho bisogno di nient'altro.»
Lo abbracciai, poggiando la testa sulla sua spalla, e sentii di nuovo il cuore pieno, stavolta di una luce nuova.

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