Capitolo 14

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Sono seduto a un soffio da lei, il mio cuore batte veloce mentre la porta si apre, sbattendo con un tonfo contro il muro. L'atmosfera nella stanza diventa tesa all'istante quando il loro allenatore si avvicina con passi pesanti nella nostra direzione. Mi alzo rapidamente dal lettino, perché il suo sguardo tagliente mi fa venire i brividi.

«Si può sapere cosa avevi in mente?» urla in direzione di Adele, la sua voce rimbomba contro le pareti.

La vedo stringere i denti, gli occhi fissi con determinazione, «È solo un po' di temperatura alta, niente di cui preoccuparsi.»

Il viso di Alessandro diventa ancora più rosso, come un temporale che si avvicina minaccioso, «Hai la minima idea di cosa sarebbe potuto succedere?» dice, alzando di un'ottava la voce.

Cerco di mimetizzarmi contro il muro, come un animale spaventato che cerca riparo. Non ho alcuna intenzione di mettermi contro di lui in questa situazione incandescente, ma poi i miei occhi incrociano i suoi. La vedo in tutta la sua fragilità, anche se continua a indossare un'armatura di determinazione.

«Avevo tutto sotto controllo», risponde, e questa sua affermazione rischia di farmi scoppiare, ma poi aggiunge, quasi sottovoce «Scusa.»

Il suo allenatore sbuffa con frustrazione, «Vai a casa e rimettiti», ordina con un sospiro di rassegnazione. Poi si rivolge a me, e io non posso fare altro che rispondere con un cenno d'assenso «La accompagno io.»

Non riesco a decifrare lo sguardo che mi rivolge. Sono quasi sicuro che in una situazione diversa mi avrebbe gridato contro, ma forse sa benissimo che non ha scelta.

Senza pronunciare una parola in più, sale sulla mia auto, dopo che Nora le ha portato le sue cose.

Osservo il modo in cui stringe il suo zaino, come se fosse l'ultima ancora di salvezza in un mare di incertezza.

Mentre guido verso casa sua, ogni tanto getto uno sguardo nella sua direzione. Lei è completamente assente, immersa nei suoi pensieri. I capelli le cadono sul viso, inframezzando il suo sguardo vuoto.

Una volta arrivati davanti a casa sua, scende e si dirige silenziosamente verso la porta, quasi come un automa. La seguo, ma sembra quasi non accorgersi della mia presenza.

La osservo mentre si sveste lentamente, come se ogni strato di vestiti portasse con sé una parte del peso che ha dovuto sopportare. Poi, con un sospiro stanco, crolla sul letto. Mi avvicino lentamente per coprirla con la coperta, ma prima di andarmene, la sua mano stringe la mia felpa, come un'ancora che mi trattiene.

So bene che dovrei andarmene, ma il desiderio di rimanere prevale. Decido di togliermi le scarpe e la felpa, per sedermi accanto a lei. Il silenzio della stanza è opprimente, interrotto solo dal suo respiro affannato.

Non so quanto tempo sia passato da quando ho chiuso gli occhi, ma nel silenzio della sera, sento il suo respiro cambiare, come se avesse difficoltà a respirare. Mi precipito sul letto e finalmente la vedo. I suoi occhi sono aperti, ma lo sguardo è vuoto e spaventato. Le lacrime scorrono lungo le sue guance, senza controllo, come un fiume in piena.

Afferro delicatamente le sue mani tremanti e sussurro «Adele, guardami.»

Anche se riesco a catturare la sua attenzione, il dolore sembra ancora radicato in lei. Dopo qualche minuto, riesce a rilassarsi, ma con voce fredda mi dice «Non ho bisogno di nessuno. Sono in grado di curare le mie ferite da sola.»

Resto immobile, come se il tempo si fosse fermato. Gli occhi fissi su di lei, incapace di assimilare le parole appena sfuggite dalle sue labbra. Poi, come un uragano che si scatena improvviso, scoppio «Mi spieghi perché ti ostini a sostenere queste cose? Mi spieghi perché, quando qualcuno cerca di tenderti una mano, tu la respingi? Non tutte le persone sono uguali, non tutte ti feriranno.»

Nel suo sguardo, vedo una delusione profonda che sembra dipingere un quadro di anni di sofferenze e ripetute ferite emotive. La sua voce è carica di rabbia e tristezza quando ribatte «Mi sembra di avertelo già detto una volta: ho smesso di credere nelle persone.»

Sospiro profondamente, lottando contro l'impulso di andare a cercare il suo ex per svelare il mistero delle sue cicatrici emotive. Cerco di rimanere calmo, cercando di far emergere la comprensione, «Sai, Honey, se non dai modo alle persone di conoscerti, se non abbassi le tue difese, non potrai mai sapere cosa hanno da offrirti».

Nel buio della stanza, il suo volto sembra una tela su cui dipingere ogni emozione e ogni paura «Ho imparato a non credere alle favole. Ho accettato la realtà, mi sono sempre sentita sola in mezzo a tanti. Ma ora non soffro più per le mancanze; tutto ciò di cui ho bisogno lo trovo nella mia solitudine," la sua voce si incrina, rivelando la vulnerabilità che nasconde dietro la maschera di indifferenza.

«Non puoi pensarla davvero così? Non posso credere che tu preferisca stare da sola anziché affrontare le cose con qualcun altro» dico, incredulo, mentre la sua risposta continua a turbare il mio cuore.

Come un fiume in piena, i suoi occhi sono inondati di lacrime, e le parole escono dalla sua bocca come un flusso inarrestabile. Il suono della sua voce è roco e spezzato, un eco dell'angoscia che ha trattenuto per troppo tempo.

«Sai cosa significa crollare in mille pezzi? Sai cosa si prova a vedere il mondo scorrere velocemente mentre tu rimani a guardare? Penso costantemente di dover raggiungere la perfezione senza mai riuscirci. E non parliamo del mio rapporto con il cibo: ogni volta che mangio qualcosa di più, mi assale un senso di colpa che mi soffoca, lasciandomi intrappolata in un vortice di autodistruzione.»

Sento il mio cuore stringersi mentre la ascolto. È come se avessi un piccolo sguardo nell'abisso delle sue paure più profonde.

«Alle persone non importa davvero come stai. Dimenticano facilmente tutto il bene che fai e si ricordano solo degli sbagli, come una ferita che si riapre costantemente. Sono stanca, ed è per questo che non rincorro più nessuno. Sono sempre stata la prima a inseguire gli altri. Sono stata usata, manipolata come un burattino nelle mani degli altri, finché non ho capito che dovevo proteggere me stessa.

Nessuno ha mai guardato oltre il mio sorriso, nessuno sa quante volte ho pianto da sola nel cuore della notte, nessuno sa quanto mi spaventi aprirmi con le persone, rivelando le mie fragilità più profonde. Nessuno sa quanto mi senta fuori posto, come un puzzle con un pezzo mancante che non riesco a trovare. Nessuno sa cosa ho passato, le sfide che ho affrontato e le cicatrici che porto con me.

Mi sento sbagliata, come se fossi un'ombra nel mondo reale, una presenza destinata a restare in disparte. Io sono sbagliata».

Quanto vorrei dirle che non è sbagliata, quanto vorrei dirle che lei è perfetta così com'è, quanto vorrei dirle che la sua non è una fragilità, quanto vorrei dirle che non deve nascondersi.

Quando inizia a piangere, abbassando il viso verso il basso, sento il suo corpo tremare leggermente. Le mani scivolano dolcemente sotto il suo mento bagnato dalle lacrime e lo alzo con delicatezza, fissando i suoi occhi gonfi di tristezza.

«Honey, devi smettere di nascondere ciò che provi, o almeno non farlo con me», sussurro con una voce vibrante di affetto.

Forse sto commettendo un errore, perché è in un momento di estrema fragilità e non vorrei che pensasse che lo sto facendo solo per tranquillizzarla. Tuttavia, tra i singhiozzi, quello che dice dopo mi colpisce, «Ti va di restare qui con me per la notte?»

Sorrido gentilmente, il mio cuore si scioglie di fronte alla sua vulnerabilità, «Resterò tutto il tempo che vuoi, Honey.» La tiro delicatamente a me, sentendo il suo corpo rilassarsi lentamente. So che tutto questo potrebbe non significare nulla in un mondo diverso, ma ora voglio solo godermi questo piccolo spiraglio che mi sono fatto nella sua corazza.

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