Capitolo 9

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Cristallizzata nella mia mente, si dipinge un'immagine unica: due occhi verdi, come gemme rare, che racchiudono un intero mondo di enigmi.

Mentre l'entusiasmo ci avvolgeva in vista del torneo fuori città, un brivido improvviso mi attraversò come una doccia gelida. La speranza che questo evento potesse finalmente placare i turbamenti dei miei pensieri si sgretolò improvvisamente. La rivelazione mi colpì come un lampo: il torneo si sarebbe svolto nella stessa città, e avremmo preso alloggio nello stesso hotel delle ragazze della ginnastica artistica.

Stiamo viaggiando sullo stesso autobus, accanto a me Mattia che non la smette di sbuffare per non essere seduto accanto a Nora, per questo motivo continua a inviarle messaggi. Io mi trovo seduto sul lato del corridoio, il che mi permette di gettare occasionali sguardi nella sua direzione. Nonostante tutto, Adele sembra determinata a non rivolgermi nemmeno uno sguardo durante l'intero viaggio.

Ma chissà, forse è meglio così, penso tra me e me.

I primi giorni del nostro viaggio sono tutto tranne che rilassanti. Le giornate scorrono tra faticosi allenamenti e partite intense che ci mettono alla prova. Abbiamo lottato con sudore e passione, e finora la bilancia delle vittorie pende dalla nostra parte: due gare vinte su quattro, posizionandoci in testa al girone.

Le partite sono vere e proprie sfide epiche. I nostri attacchi risuonano nell'aria come colpi potenti, mentre le difese nemiche cercano disperatamente di fermarci. Ogni punto conquistato è un passo verso la gloria, e ogni punto perso è un'opportunità per imparare e migliorare.

Quando la fatica ci abbatte alla fine della giornata, cadiamo esausti sui nostri letti senza aver modo di fare altro. Tuttavia, un pensiero persistente fluttua nella mia mente: mi chiedo cosa stia facendo in questi giorni, e come stia procedendo il loro torneo. Sono sbalordito da quanto la mia attenzione si volga nella sua direzione, nonostante il mio mondo sia da sempre legato alla pallavolo.

La notte si trascina insonne, e nell'ansia di plasmare i miei pensieri e allontanare l'eco di Honey dalla mia mente, prendo la decisione di scendere per fare una passeggiata. Un silenzio denso e surreale avvolge la hall, e mentre i miei occhi si abituano all'oscurità, scorgo un bagliore provenire da una piccola caffetteria nell'angolo. Non sono solo in questa lotta contro il sonno: una figura solitaria si staglia, immersa nei propri pensieri notturni. Avanzo con passo felpato, consapevole che la mia insonnia ha trovato una compagna

Indossa una felpa oversize, che cadendo lungo il corpo mette in mostra gambe scolpite dalla tonicità, come opere d'arte viventi. Nel momento in cui si allunga per afferrare una bustina da una mensola, la felpa si solleva, rivelando il bordo di una biancheria di pizzo. Ingoio faticosamente la saliva, cercando di placare i pensieri in tumulto e altro ancora. Il cuore accelera, sincronizzandosi con il ritmo delle mie fantasie.

«Niente male come spettacolo», le dico riuscendo a farla sussultare per la sorpresa. I suoi occhi si allargano istintivamente mentre tiene stretto tra le dita il manico di un cucchiaino. Un sorriso compiaciuto si disegna sul mio viso, un'ombra di sfida in quel momento congelata nell'aria.

«Fammi capire. Vorresti colpirmi con un cucchiaino?», continuo, il mio tono un gioco tra audacia e curiosità, come se quella fosse una possibilità che non disdegnerei affatto.

Sbuffa, e non posso fare a meno di notare quanto sia adorabile quando si mostra così vivacemente reattiva.

«Sei peggio del prezzemolo», mi risponde con una finta irritazione, le sue sopracciglia si fanno un po' più strette, creando delle piccole ombre sulla sua pelle.

«In che senso?», domando, lasciando emergere una genuina curiosità nel mio tono.

«Nel senso che sei sempre nel mezzo», risponde con una punta di amarezza, il suo sguardo ritorna alla preparazione della tisana.

Ma non ho intenzione di arrendermi così facilmente. Con una nota di sfida ora più marcata, continuo «Potresti prepararmi quella... "cosa" che ti stai facendo per te».

Si volta verso di me con una smorfia imbronciata, le sue labbra si stringono in un'espressione di scontento, «Ma anche no», mi risponde seccata.

In un istante, raccoglie le sue cose con una grazia deliberata e si allontana, lasciandomi solo con il ritmo rassicurante del silenzio della notte. Ma se pensa che possa così facilmente sgretolare la mia risolutezza, si sbaglia di grosso.

La seguo nella veranda chiusa che si affaccia sul giardino, mi siedo sul divanetto accanto a lei e dopo qualche minuto di silenzio dice «Mi stai pedinando?».

Alza lo sguardo nella mia direzione, alla luce soffusa i suoi occhi sono ancora più belli, «Scusa. Non mi sembrava che ci fosse un cartello che indicasse "proprietà privata"».

«Fa come vuoi», risponde, portando la tazza fumante vicino alla bocca.

Continuo a fissare il panorama fuori, nonostante i pochi centimetri che ci separano, sembra quasi che ci sia un oceano emotivo tra di noi. Nei suoi occhi si riflettono mille dubbi e insicurezze, come piccole sfumature di emozioni che cambiano al ritmo del vento. La mia curiosità si fa strada dentro di me e, senza pensarci su troppo, decido di dare voce alle parole che da troppo tempo aleggiano nei miei pensieri, «Mi chiedo che cosa sia successo, per farti diventare così».

«Come scusa?», la sua domanda è solo di facciata, lo vedo quanto la mia esternazione l'abbia turbata.

Non so bene il motivo, ma non riesco a stare zitto, «Conosco le persone come te. Sono quelle persone che soffrono in silenzio».

Forse ho osato troppo, consapevole che il velo che copre il passato di lei è delicato e riservato. Non ho alcun diritto di penetrare in quelle pieghe oscure, ma il mio desiderio di comprenderla è irrefrenabile. Sono quasi sicuro che mi prenderò uno sguardo severo o forse una tazza di tisana lanciata verso la mia testa quando, all'improvviso, la sua voce inizia a risuonare nel buio, un suono fragile ma carico di significato «La verità è... spesso non mi sento abbastanza».

Queste sue parole mi colpiscono come un pugno nello stomaco. Posso quasi percepire il peso di ogni singola sillaba, carica di emozioni recondite e frammenti di un passato che ancora lotta per essere raccontato.

«Puoi cambiare questa prospettiva», rispondo con dolcezza, mentre immagino il suo sguardo afflitto che cerca conforto nelle mie parole.

«Posso cambiare le apparenze, ma non potrò mai sostituire i miei pensieri... Sai qual è la cosa buffa? Tutti si aspettano di vedere la persona che ero. Quella che sorrideva sempre, quella che c'era sempre per gli altri, quella che si appoggiava agli altri, quella che metteva gli altri al primo posto. Ma quella persona non esiste più» dice tutto d'un fiato, quasi come se stesse liberando anni di silenzi dolorosi.

Le sue parole, come gocce di pioggia su un vetro, cominciano a dipingere davanti a me un quadro intricato di vulnerabilità nascosta dietro un sorriso che ora è solo un'ombra.

«Sai cosa succede quando la persona su cui fai affidamento si sposta? Cadi. Smetti di credere nelle persone, smetti di pensare di meritare qualcosa di buono. Ti rimane solo il dolore, e la cosa peggiore è che non speri che smetta di fare male. No. Ti aggrappi alla speranza di poterne diventare immune», dice mentre le lacrime hanno iniziato a scendere in modo silenzioso rigando il suo viso.

Sto cercando di comprendere tutto quello che mi ha detto, capisco che dietro la maschera di ragazza dura che mostra c'è un mondo tutto da scoprire, segnato da eventi che l'hanno cambiata, trasformandola nella persona che è adesso.

Le sue parole hanno aperto uno spiraglio, e ora intravedo la vastità di un viaggio interiore che deve aver attraversato, un labirinto di emozioni e battaglie, con tutte le sue sconfitte e vittorie.

Non faccio in tempo a risponderle quando la vedo alzarsi dal divanetto e aggiungere, con un tono che è un mix di autoironia e stanchezza «Bene. Direi che dopo questa mia... come potrei definirla? Si, figura di merda. Credo sia arrivato il momento di andare a letto».

Decido di non seguirla, rispettando il suo bisogno di spazio e riflessione. So quando è il momento di non oltrepassare i confini, quindi le dico solo, cercando di sorridere attraverso il sostegno «Era un vero cretino».

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