9 - Voglio andare al mare

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Ginevra

Ci sono undici trentaquattresimi giorni in un anno. Servono tre anni per ingoiare i famosi (non per me) trentaquattro validi motivi per i quali il noi non esiste più. Tre anni più un giorno.

Il giorno in più, in cui ho cercato di dimenticarti.

«Vorrei essere una radice» dico a Giulio un pomeriggio di ottobre.

«Vorrei essere una radice, loro trovano sempre la forza di venire fuori dal buio. Scavano, scavano e riescono a distruggere anche il marciapiede più duro. O la strada.» Sorrido per dare meno pesantezza alla frase. Siamo in camera sua, distesi a terra, intenti come negli ultimi giorni, a preparare esami su esami. Voglio andare al mare di Vasco suona bassa.

«Non tutte le radici crescono in orizzontale» puntualizza lui con la testa bassa «solo quelle dei pini» continua.

Rifletto e dico più a me che a lui «forse vorrei essere la radice di un pino, ma nel cuore sono solo una semplice e normale radice. Scavo nel profondo senza avere la forza di farmi vedere mai.»

«A me ti sei mostrata» sorride.

Ed è il suo sorriso ad avermi conquistato da piccola. Ed è il suo sorriso ad esistere qui, adesso, in questa vita che ha avuto così poco senso ultimamente. Non ho ricordo di esser stata senza Giulio, nemmeno un secondo. Ricordo a differenza giornate piene di sorriso. Ho raccontato a Giulio di Andrea. E' stato lui a mettermi in testa i primi dubbi su questa strana frequentazione. Solo che lui non sa il tumulto che ha scatenato in me. Cosa potrei dire in merito? È stato cosa?

Ed è passato così tanto tempo, che forse me lo sono solo immaginata. Tutto quanto, le parole, i silenzi, il bacio, le mani.

Giulio mi strappa dai miei pensieri, con una gomitata. Lo guardo male e lui scoppia a ridere, così ne approfitto per alzarmi e andare verso casa. È terribilmente premuroso con me.

Mi viene da ridere, Giulio se ne accorge e abbracciandomi per salutarmi mi bacia una tempia.

«Ricordati l'aperitivo per mio padre, senza di te non credo di potercela fare.»

«Non me ne dimentico Giulio» dico contro il suo collo.

«Bene radice» sussurra a sua volta «da adesso in poi sarai la mia radice.»

Ed io non riesco a sorridere.

Io e Giulio ci siamo scontrati una mattina di molto tempo fa. Aveva i pantaloncini corti e un caschetto imbarazzante al posto dei ricci di adesso. Nel momento in cui ha deciso di crollarmi addosso e rompermi il polso, Giulio non si è più stancato di me. Tutti i giorni attraversava la strada, con estrema attenzione, e mi portava le caramelle alla fragola perché sapeva che mi avrebbe reso felice. Eravamo bambini. Bambini speciali l'uno per l'altra. Con il passare degli anni, i pantaloni si sono allungati, il caschetto imbarazzante si è trasformato in ricci pericolosi e le caramelle in sigarette. Era uno di famiglia per me che una famiglia non ce l'avevo. Quando iniziai a capire che casa mia era diventata un posto in cui non potevo più stare, ho attraversato la strada. Giulio è diventato il porto sicuro in cui rifugiarmi. I suoi genitori, un po' anche i miei.

Non ho mai conosciuto mio padre, sporadicamente i compagni di una madre che non sapeva distinguermi dalle altre figlie avute con altri uomini. Credo di essere da una parte una sopravvissuta, perché se quella sera di novembre non fossi uscita da quella casa e non avessi attraversato quella strada molto probabilmente sarei potuta finire bruciata con il resto della casa. Mia madre dopo «la tragedia» se ne è andata. «Devo ricominciare Ginevra, lontana da qui.» le ultime parole che mi ha rivolto.

Ci sono momenti che ti tolgono il fiato, quello mi ha restituito i sospiri ingoiati fino a quel momento.

È stato un punto di partenza. Punto di partenza di una me finalmente maggiorenne. Ho iniziato fin da subito a lavorare nel bar di Nando mi sono trasferita nella dependance accanto alla casa bruciata e Giulio non mi ha più lasciata sola. I suoi genitori si sono occupati di tutta la burocrazia che mi ha investita dopo l'abbandono di mia madre. Ed è lì che ho capito che ci sono anime che hanno come unico obbiettivo, senza saperlo mai, di trovarsi e illuminarsi a vicenda. Abbiamo vissuto una bella vita io e Giulio. Divisi sempre e solo da una strada che ululava di classamento sociale ma che lui non mi ha mai fatto pesare. A destra io e la mia piccola dependance. A sinistra lui e la sua villa. Ma questo non ci ha certo impedito di esser più uniti.

Arriva una chiamata da Nando, appena metto piede in casa. Sospiro perché son sicura che vorrà darmi qualche turno in più.

«Ginevra, Andrea è qui.» e stacca al volo senza darmi il tempo di replicare.

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