12 - I'd rather go blind

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Andrea

Quanto sarebbe bello condividere o saper condividere nel mio caso. E' questo che penso quando entro nel bar che ho evitato per un anno intero, giorno più, giorno meno. Nando alza gli occhi e glielo leggo in faccia che non si aspettava per nulla questa improvvisata. Un sorriso sincero nasce nel mio volto e con calma mi accomodo in uno dei sgabelli davanti al bancone.

«Un caffè Nando, per favore.»

Annuisce e si mette a l'opera. Ci sono pochi avventori a quest'ora. Lascio che una mano vaghi sul mio viso stanco fino a che il caffè arriva sotto di me insieme a due foglietti. Una scrittura scomposta riporta le lettere del mio nome. Nando sparisce dietro una tenda ed io resto in attesa di un coraggio che non mi appartiene.

Avrei voluto avere il coraggio di parlarti di tutto quello che ho lasciato Ginevra. Tutte quelle cose che mi sono portato addosso in questi anni, quello che mi sono cucito addosso, evitando sguardi e parole terrorizzanti. Adesso il solo pensiero della parola condividere è un enorme buco nero. Allora ti fermi, ti guardi da fuori, e capisci di esserti spezzato e che la voglia di tirartene fuori non è poi così molta. Io ci sto bene nella mia autocommiserazione.

Maddalena non l'ho cercata. E' arrivata, mi ha ucciso lentamente il suo amore. Mi sono ritrovato tramortito, innamorato e poi solo. Non avevamo paura di nulla insieme. Poi la vita ha deciso per noi di avere paura e di farcela venire addosso, appiccicata. E' partito tutto da quel battito di ciglia. Il mio sguardo si è spento, ma quello di Maddalena l'ha fatto per sempre. Da quel giorno la parola condividere non è più tornata a bussare. Il modo che ho di guardare le cose, non so perché, non so cos'è cambiato, ma lo è, diverso, dopo di lei.

Trascorrere del tempo con Ginevra ha dato una ventata di leggerezza alla mia vita.

Saluto con un cenno Nando ed esco dal bar, nessuno sguardo al tavolo che mi ha regalato sorrisi in faccia per un anno intero. Entro in macchina ed in una manciata di minuti sono a casa dei miei genitori. Percorro lentamente il vialetto già pieno di macchine. Arrivo di fronte alla facciata e un movimento sulla sinistra cattura la mia attenzione. Due ragazzi. Metto a fuoco e il cuore perde un battito. Un sospiro esce dalla bocca.

Il suo sorriso è tutto lì. Quello che adesso rivolge a mio fratello. E tutto improvvisamente torna. La piccola Ginevra, la mia Ginevra.

Spengo i fari della macchina, i loro sguardi sono incerti. Li guardo sciogliersi lentamente dall'abbraccio in cui li ho trovati. Giulio le dice qualcosa e sorride, lei non sembra capire. Io sono bloccato, il cuore che mi martella nelle orecchie e la bocca asciutta. Sembra passare un'eternità quando decido di scendere.

La vedo la paura irradiarsi dentro di lei, espandersi e guadagnare ogni suo singolo respiro.

«Ciao fratellino» dico tutto di un fiato «che fai qua fuori?»

Lui mi viene incontro e mi abbraccia, non faccio in tempo a rivolgere uno sguardo a Ginevra che la vedo indietreggiare. Con gli occhi la imploro di rimanere. 

«Ginevra te la ricordi si?»

La mia testa annuisce, ma non perché io sappia chi sia ma perché improvvisamente ricordi sporadici di una vita vissuta lontana mi piombano addosso.

Varchiamo la soglia di casa in silenzio. Lasciamo le giacche nell'armadio sulla sinistra e seguiamo il rumore della confusione. Ginevra si stringe il chiodo di pelle addosso come protezione. La casa è un macello di persone che si muovono, chiacchierano e bevono. Mia madre, arriva con la sua solita puntualità e mi bacia sulla guancia. Ginevra e Giulio si allontanano ed io riesco a parlare con lei senza quei due paia di occhi addosso.

Durante l'aperitivo ho il tempo di constatare che Ginevra è ben integrata con il resto delle persone, come se le conoscesse da una vita. Qualche sorriso di circostanza dopo mi sento tirare una manica della camicia. Mio padre. Nonostante sia la sua festa il suo viso non tradisce alcuna emozione. Mi chiede del lavoro ma il reale interesse con cui pone questa domanda è capire che cosa sta facendo suo figlio da quando la sua vita ha smesso di avere senso.

«Stai tranquillo papà, tornerò a Londra solo per chiudere il contratto della casa, dopodiché tornerò a vivere in Italia.» Lui annuisce, vedo commozione nel suo sguardo.

«Buon compleanno» gli dico, mi abbraccia forte e mi lascia qualche pacca sulla spalla. «Torno al lago, ci sentiamo in questi giorni.»

Intercetto mia madre poco più lontano, le lascio un bacio sulla guancia e la saluto. Non trovo Giulio da nessuna parte. Mi avvio verso la porta di casa, infilo la giacca ed esco lasciandomi dietro I'd rather go blind di Etta James.

Appena varco la soglia rilascio un sospiro pesante.

«Te ne vai?»

Ginevra parla piano dalla panchina posta infondo al patio. Dondola i piedi con fare nervoso, una bottiglia di birra vuota ai suoi piedi.

«Me ne vado.»

Infilo le mani in tasca e mi avvicino cauto.

«Non avevo idea di chi tu fossi fino a che non ti ho visto con Giulio, in quel momento tutti i ricordi delle poche volte che ho fatto ritorno a casa mi sono piombati addosso.»

«Idem. Quindi quella sera era Giulio che cercavi.» sussurra.

Il silenzio aleggia tra noi ma non è quello a cui ero abituato. Annuisco guardandola.

«Eccovi, vi avevo perso entrambi» si accascia Giulio nella panchina accanto a Ginevra, appoggia la testa sulla sua spalla e continua «che facciamo?»

Mi tiro indietro subito «non guardare me, devo rientrare a casa, sfare le valigie, fare la doccia e possibilmente mettere qualcosa da mangiare sotto i denti, quindi vi saluto.»

«Vai al lago? Veniamo con te.»

«Giulio...» inizio ma non mi fa terminare.

«Ho voglia di stare con le mie due persone preferite» conclude avvicinando la mano di Ginevra alla sua bocca.

Ginevra si alza in piedi ed indietreggiando guarda Giulio «domani pomeriggio ho il turno da Nando, io non vado da nessuna parte.»

Prima che qualsiasi neurone cervello-bocca si attivi domando

«Da Nando? Tu lavori da Nando?» la voce deve uscire troppo spontanea, carica di cose non dette perché lei mi rivolge un'occhiata furiosa e la curiosità nasce spontanea nel viso di mio fratello.

«Andre tu come fai a conoscere Nando?»

Lo guardo senza sapere bene cosa rispondere.

«Ragazzi, andate al lago, io vado a casa, così mi riposo.»

Mio fratello la segue con lo sguardo e le va incontro.

«Radice, adesso io e te andiamo a casa tua, infiliamo una tuta su una borsa e andiamo al lago, ceniamo ci rilassiamo e domani pomeriggio siamo a casa. Tu a che ore hai l'aereo Andre?»

Lei continua a scuotere la testa.

«Domani sera alle sette.»

«Ottimo. Domani alle quattro siamo a casa. Siamo ad un'ora e mezza da qui. Possiamo concederci qualche ora?»

Lei sbuffa, assume un'aria da bambina che mi incanta e si avvia lungo il viale, diretta a casa.

Giulio sorride e mi sussurra che saranno di ritorno in dieci minuti.

Acconsento. In che guaio mi sto cacciando?

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