Ginevra
Il viaggio di ritorno a casa è trascorso silenzioso, esattamente come il mio saluto ad un luogo che mi rimarrà dentro abbastanza a lungo da non potermelo dimenticare più.Quando ho conosciuto Andrea non avrei mai immaginato ciò che poi è accaduto durante questi anni. Da una semplice condivisione è nato un filo sottile che sembra non voglia spezzarsi.
Ma io voglio spezzarlo? Sono arrivata con domande e adesso mi ritrovo con un papiro, confusione e rotelle impazzite. Nel cervello, nel cuore e nello stomaco. No nello stomaco ho solo domande sconvenienti. Non confondere l'amore e l'innamoramento Ginevra è questo che mi ripeto.
E poi Giulio e la sua confessione.
Possibile che non mi sia mai accorta di nulla in questi anni? Come è potuto accadere? Ed io cosa provo in merito?
A svegliarmi dal mio turbinio di stato catatonico è una carezza sul viso. La prima persona che vedo è Andrea che mi fissa debolmente. Ma la mano non è la sua.
«Radice dove sei? Siamo arrivati.» mi soffia Giulio all'orecchio.
Mi alzo subito ed esco veloce da quella macchina.
Tutto sta diventando troppo. Corro senza salutare verso casa.
Una volta dentro chiudo tutto fuori e mi costringo a non impazzire.
Tengo la mia mente occupata, le mie mani in attivo, ed i pensieri fermi, lì dove non devono muoversi.
Ho sempre tenuto lontano le persone. Quelli come me li riconosco dagli occhi, mi ripete Giulio sempre.
Si ha paura di non riuscire a nuotarci in certe anime. Ed io adesso ho paura di affogarci in questi occhi. Occhi che sanno sapere troppo.
Quante volte allo stesso tempo ho aspettato che qualcuno mi guardasse davvero vedendo ciò che ho perso e le cose che ormai non cerco più.
Andrea l'ha fatto, non so come.
Non sono mai rimasta per nessuno, se non per Giulio. Non so cosa ci ho visto, forse sicurezza, forse un porto in cui rifugiarmi, occhi che non mi avrebbero mai giudicata. Di conseguenza non ho mai chiesto a nessuno di restare, probabilmente perché so che non mi so slegare, non so dimenticare.
Vorrei tenerli entrambi. Dirgli di restare e basta.
Mamma, avrei dovuto dirti di restare, ma forse non sarebbe servito a niente. E' un pensiero veloce, arriva e se ne va. Tocco lei di rado, in quella chiamata, una al mese, che ci concediamo, torno ad essere una figlia, ma solo il tempo di due chiacchiere, poi torno ad essere libera.
A notte fonda sento bussare alla finestra. Un senso di ansia mi prende allo stomaco, passi leggeri mi accompagnano verso le tende. Abbasso Disfruto e mi affaccio, Andrea è li fuori, si guarda intorno agitato, leggo il labiale "Dobbiamo parlare."
Gli faccio cenno di andare alla porta di entrata e lo raggiungo. Stiamo come due fessi ad osservarci, fin a che non mi sposto e gli faccio cenno di entrare.
Si guarda intorno, studia le mie cose, e non pronuncia parola.
Vado in cucina e preparo il caffè, so già che sarà una lunga notte.
«Dobbiamo parlare di ciò che è successo.» dice in un soffio, senza guardarmi negli occhi.
E' strano sembra irrequieto. I suoi occhi guardano ovunque, tranne che me. La sua presenza mi soffoca, ma cerco di non pensarci.
«Hai bevuto.» La mia non è una domanda. Conosco gli ubriachi. Lavorando da Nando ho constatato che ce ne sono due tipi: gli esaltati e gli sbandati. Andrea fa sicuramente parte della seconda categoria.
«Un goccio. Ma non è questo il punto. Cosa è successo ieri notte fra me e te?»
«Il problema è ieri notte?»
I suoi occhi mi raggiungono.
«Sei tu l'adulto qui Andrea.» soffio pungente porgendogli una tazza di caffè. Se la beve tutta in un secondo, rischiando di strozzarsi. Chiude gli occhi e senza guardarmi mai continua, camminando, in giù e in su per la stanza.
«E' tanto tempo che non provo qualcosa del genere per una persona. Tu mi hai rapito e costretto a guardarti, a vedere tutte le tue cicatrici e ad infatuarmi di quelle, senza conoscerti, prima ancora di guardarti negli occhi. Quando ti ho persa,» e si sofferma come se la parola persa fosse troppo, troppo importante, troppo larga o forse troppo piccola per contenere ciò che è stato, «obbligarmi a non cercarti è stato doloroso, sfiancante. E' stato come se tutto mi spingesse a questo dannato indirizzo. Capire poi che eri Ginevra, Ginevra la piccolina che ha sempre girato per casa, mi ha distrutto. Tu sei intoccabile, capisci?» E questa volta mi guarda e ciò che leggo nel suo sguardo fa male più delle sue parole. E' affranto.
«Tu, ti ricordi di me?»
«Nel momento in cui ti ho visto con Giulio, è tornato tutto alla mente.»
«Perché io non mi ricordo di te?»
«Sono andato via da casa molto presto. E tu eri appena entrata nella vita di Giulio, sconvolgendo un po' il nostro equilibrio.»
«Che significa?»
«Che Giulio stravede per te ed io non posso fargli questo.»
«Questo, cosa? Hai una moglie Andrea? »
Non risponde, mi sfugge non lo seguo il tum tum del mio cuore offusca i sensi. E' una forza strana l'amore quando non la riconosci. La limiti, ci combatti. Ma alla fine quando le parole chiudono un cerchio che continui a non voler vedere cosa rimane? Due anime confuse, un bacio in sospeso e cuori a mille. Si avvicina, forse troppo, forse troppo poco.
«Quanto amore può dare un uomo quando impazzisce, perché è questo che credo che stia accadendo...» soffia davanti a me Andrea.
«Quanto?» dico io immobile.
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Ginevra
Short StoryLa bellezza di Ginevra, Andrea, l'ha percepita nei suoi occhi. Vacui, spenti, vuoti. Pieni di domande a cui avrebbe voluto rispondere senza tante pretese. Seduti ad un tavolino di un bar, con un caffè disgustoso davanti ogni trentaquattresimo giorno...