Ginevra
Non corro, i passi sono lenti, pesanti e forse pensanti. Il cuore ha smetto di battere, mi tocco il polso per capire se è tutto apposto. Le orecchie fischiano, ma non perché qualcuno mi stia pensando. Fischiano, urlano, e ovattano il mio mondo. Sudo freddo, è passato così tanto tempo? Davvero? Avrà gli stessi occhi? Lo stesso profumo? Il problema delle mancanze è che poi arriva un bel giorno in cui si va avanti. E forse è dovuta a questo l'apatia e la lentezza del momento. Ognuno affronta la propria voragine nel modo in cui crede necessario. Ci sono state giornate in cui ho preso la macchina e ho solo viaggiato, viaggiato, viaggiato, arrivando al mare, quello più vicino, quello che non ho mai visto. Giorni in cui ho toccato stazioni e aeroporti, perché è lì che le persone si ricongiungono. Ed è lì che riesco a percepire quella felicità. Quella fatta di arrivi ma anche di partenze. Non perché Andrea abbia aperto chissà quale voragine. Ma ha aggiunto dolore ad un senso di abbandono che ha da sempre abitato la mia vita.
I biglietti lasciati a quel bar, tutte le considerazioni fatte nel momento del dolore, sono poi quelle reali che ho provato?
Tu c'eri Andrea. Ma io?
Più ci penso più non so darci una definizione. La domanda «cosa siamo stati?» mi sembra così banale associata ai nostri nomi, perché noi non siamo stati niente. Una brutta copia di un romanzo scritto male. Avevamo tutte le possibilità per poterla avere qualche emozione da condividere. E invece tutto ciò che il cuore ha cercato di dirmi in questi anni lontani, ho tentato forse invano, forse no, di rinchiuderlo in qualche cassettino del cervello.
Avremmo potuto fare un sacco di cose. Una domanda buttata qua e la, un «potremmo vederci una volta e l'altra?» Ed io ti avrei risposto che a complicare noi due c'avrebbe fatto finire solo da una parte. A letto. Insieme. Perché tanto l'attrazione, quella bestia, la senti fin da subito. Non ha bisogno di parole. Solo occhi e pelle. E solo questo avrebbe poi irrimediabilmente provocato uno tsunami nel mio stomaco. E forse allora è stato meglio perdersi.
Dicono che ci sono sorrisi che danno senso alle giornate. I tuoi occhi davano senso alle mie notti. Entro nel bar e un grande senso di pace mi atterrisce. Come se fossi tornata a casa. Ma lui, lui non c'è.
Mi sono seduta. Ho piegato leggermente la testa a destra e a sinistra. Ho controllato che realmente lui non ci fosse e sono sprofondata in me stessa. Sono certa che a qualsiasi persona all'esterno io possa esser sembrata una normale post adolescente in attesa. Il problema principale è che io non sono assolutamente in attesa. O perlomeno non lo ero fino al momento in cui Nando ha deciso di chiamarmi. Cosa mi aspettavo? E' proprio questo ad avermi delusa. L'aspettativa.
A volte mi vien da pensare di aver sbagliato vita, o modo di viverla, questa vita. Il mio carattere fa a cozzi con ogni scelta io pretenda da me stessa. Inizio veramente ad assomigliare a mia madre e questo, mi fa paura. Sono solitaria, permalosa, viscerale, inizio ad avere tormenti in testa che mi tolgono la voglia. Mi tolgono la vitalità che cerco, da sempre, di tenermi attaccata.
Vasco lo sussurra dalle casse «siamo soli» e forse tutti i torti non ce l'ha.
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Spazio Autrice:
Mi sto lasciando trascinare, cavalco l'onda finché non torneranno ad esserci nubi tali che me lo impediscano.
Con affetto,
Serena
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Ginevra
Kısa HikayeLa bellezza di Ginevra, Andrea, l'ha percepita nei suoi occhi. Vacui, spenti, vuoti. Pieni di domande a cui avrebbe voluto rispondere senza tante pretese. Seduti ad un tavolino di un bar, con un caffè disgustoso davanti ogni trentaquattresimo giorno...