11 - A mano a mano

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Ginevra

«Ginevra, è tutto apposto?» sussurra Nando avvicinandosi a me con un caffè fumante. Gli sorrido gentile, faccio segno di sì, bevo il caffè e mi alzo.

«Vado a prepararmi per l'aperitivo da Giulio Nando, grazie per il caffè e per il pomeriggio libero.»

Mi accarezza la spalla con fare gentile e si allontana. Non so o meno se ringraziarlo per la chiamata. Non lo faccio per paura. Paura che possa domandare ed io cercare inutili risposte.

Cosa indossava? Era felice? E' dimagrito? Gli hai dato i biglietti? Lascio che il silenzio aleggi tra noi perché ogni risposta potrebbe essere quella sbagliata.

Esco nel freddo autunno e attraverso il parco. Il cielo promette pioggia. Un po' come il mio umore brontola in lontananza forse incapace anche lui di farci davvero i conti con la tempesta che sta nascendo.

Alla fine è colpa mia. Sono io ad aver rovinato tutto.

Quando arrivo nei pressi della mia abitazione vedo la madre di Giulio allontanarsi e attraversare la strada. Un sorriso spontaneo spunta nel mio volto.

- Tua madre mi ha lasciato l'ennesimo abito da principessa - scrivo a Giulio poco dopo fissando il vestito tutto azzurro steso sul mio letto. Ha lasciato un biglietto. "E' solo un regalo Ginevra e puoi sempre abbinarci il tuo amato chiodo di pelle. A dopo."

- Non credo abbia capito fino a che punto tu sia rock dentro, radice - è la risposta di Giulio.

- Da ora in poi mi chiamerai così? -

- Sempre! - è la sua risposta.

Sorrido per la seconda volta nel giro di mezz'ora.

Continuo a guardare l'abito da lontano mentre mi preparo. Mi avvicino alla libreria dei vinili e metto su "Istantanee e tabù", lascio che la testina si appoggi oltre la metà del disco e "a mano a mano" prende fiato intorno a me.

Mi dondolo un po' sui piedi indecisa su cosa fare.

Indossandolo mi vedo così diversa che un po' paura me la faccio. D'istinto metto sopra il chiodo di pelle e guardandomi riesco a riconoscere i miei occhi. Sandra non ha tutti i torti, il chiodo ci sta bene. Lego i capelli in una crocchia alta sulla testa, infilo gli anfibi ed esco.

Nella casa davanti iniziano ad esserci diverse macchine parcheggiate, mi avventuro lungo il vialetto alberato, arrivata di fronte costeggio il fabbricato sulla sinistra e lo vedo da lontano Giulio, appoggiato allo stipite della dependance che fuma. Con uno scatto mi nascondo dietro l'albero e quando noto che il suo sguardo va verso casa mia sbuco fuori e gli faccio paura. La sua faccia è tutta un programma, la sigaretta gli cade dalle mani ed io mi tengo la pancia perché sto letteralmente impazzendo dalle risate.

«Sei un tremendo fifone Ferrari.» mi avvicino pulendomi gli angoli degli occhi.

«Qui ad esser tremenda sei solo tu, maledetta.» dice avvicinando la bocca alla mia tempia.

Alzo lo sguardo verso di lui e con le mani gli scompiglio quei ricci ribelli. I suoi occhi saettano nei miei e vagano lungo il mio corpo fino a che con poca forza mi allontana.

«Mi devi una sigaretta.» dice

«In realtà me ne devi tu una a me perché non ho proprio preso la borsa.»

Sentiamo dei passi e Sandra, la madre di Giulio, avvicinarsi.

«Ginevra mia, sei bellissima.» dice congiungendo le mani. Io faccio un inchino da vera principessa e mi rifugio nel suo abbraccio. Mi stringe forte e quando mi lascia andare guarda entrambi.

«Dovreste venire a salutare. Fare un po' presenza, non sarà lunghissima ma Filippo ci tiene.» Filippo è il padre di Giulio.

Annuisco, andandole dietro ma Giulio mi prende una mano e mi trascina a se.

«Arriviamo mamma!»

Mi stringe forte da dietro e spinge il suo volto nell'incavo del mio collo. Dopo qualche momento sussurra

«Ha ragione mia madre, sei bellissima.»

Mi libero dalla stretta, lo fulmino con lo sguardo e gli dico

«Dammi una sigaretta Ferrari, prima che il naso ti diventi troppo lungo e ti impedisca di prendere il pacchetto!»

Un luccichio strano gli lampa negli occhi si allontana ed entra in dependance. Il silenzio ci avvolge. Le chiacchiere lontane aleggiano intorno a noi. Ci avventuriamo sul fronte dell'edificio, fumando e chiacchierando. E' calata la sera, il sole trascina giù gli ultimi raggi stanchi. Stringo a me il chiodo di pelle.

«Hai freddo?»

Faccio segno di no, pronta a dibattere con una battuta delle mie ma due fari alti ci piombano addosso insieme alla certezza che tutto prima o poi torna.

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