Prologo

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Adoravo incollare lo sguardo fuori dal finestrino di un aereo. Sia al decollo che all'atterraggio. Era una cosa che non mi ero mai persa in nessun volo perché mi piaceva vedere il paesaggio ingrandirsi e poi diventare minuscolo.

La spia delle cinture di sicurezza si spense, presi la mia 24 ore e feci per scendere dal velivolo.

L'hostess mi sorrise e io mi diressi verso l'uscita.

"Signorina Stoessel, ci vediamo alla prossima" mi disse sorridendo.

Io le sorrisi a mia volta. Volavo spesso ed ero entrata ormai in un rapporto confidenziale con il mio personale di bordo. Ormai viaggiavo spesso con voli privati.

"Credo che non ci vedremo per un bel po', Cristine " le dissi "E ti ho detto già mille volte di chiamarmi Martina"

"Non tornerete a New York nemmeno per Natale?"

"Non credo" le sorrisi.

"Beh allora a presto"

Scesi dall'aereo e fui travolta dal caldo estivo di agosto. Misi occhiali da sole e cappello per scendere e andare incontro all'uomo appoggiato alla grande macchina nera.

"Buongiorno Signorina Stoessel e bentornata a Los Angeles. Io sono Lizardo, piacere di conoscerla"

"Ciao Lizardo, il piacere è mio. Sei stato incaricato di venirmi a prendere?" chiesi "avevo detto a mia madre che potevo benissimo tornare da sola"

"Beh... vostra madre non ve lo avrebbe mai permesso. Aspetta questo giorno con ansia da tre mesi" mi disse ridendo e avvicinandosi a me "Volete darmi le borse? Dobbiamo aspettare qualche minuto. Il tempo che caricano tutte le vostre valigie in auto"

Prese le due borse che avevo in mano e gli sorrisi.

Sarei riuscita a gestire le manie di controllo di mia madre?

"Beh non potrebbero mai essere peggio di quelle della tua matrigna" rispose una vocina dentro di me.

Il telefono di Lizardo cominciò a squillare e lo vidi goffamente cercarlo tra le tasche della sua giacca.

Era buffo. Doveva avere più o meno 40 anni, capelli neri, un bel sorriso.

Mi sistemai la gonna di jeans e mi avvicinai alla macchina.

"Signora Muzlera. Si certo, è qui con me, sana come un pesce. Ha un colorito leggermente chiaro. Un po' di sole di Los Angeles le farà bene" lo sentii dire.

Stava parlando con mia madre e sorrisi tra me e me ripensando al colorito della mia pelle.

Ero bianca rispetto al mio solito e a quando stavo qui con una tintarella impeccabile, ma che vuoi farci.

Non mi piaceva molto prendere il sole a New York. E poi lì le mie giornate erano piene e pur volendo non avrei mai trovato il tempo di farlo.

"Certo. Non vi preoccupate. Dovremmo essere lì tra 40 minuti circa" concluse per poi riposare il telefono nella tasca e lui mi guardò.

"Vostra madre è così felice di riavervi a casa. Non potete capire il suo entusiasmo" Sorrisi.

Mia madre non mi aveva mai perdonato per quello che avevo deciso quel giorno di 4 anni fa. Aveva solo finto di averlo accettato.

Quando l'avevo chiamata 3 mesi prima dicendole che avevo ricevuto una proposta di lavoro importante a Los Angeles e ciò significava la possibilità di tornare lì, un silenzio tombale aveva attraversato il telefono.

Non sapeva se fingere di essere triste o ammettere che il mio ritorno lì l'avrebbe resa la persona più felice al mondo. Si, fingere di essere triste perché sapeva benissimo che tornare lì significava affrontare tutto quello che avevo lasciato 4 anni prima. 

Il cuore non dimentica [Jortini]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora