Capitolo diciannove.

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Tornai a casa per preparami ad uscire cercando sempre di evitare mia madre. Le dissi che sarei andata da Sebastian, in fondo lei non sapeva nulla se non che fosse il mio ragazzo e con questa scusa non avrebbe fatto domande se avessi passato la notte fuori.

Misi dei cargo bianchi a vita bassa, un top molto corto nero, le scarpe da tennis e legai i capelli in una coda tirata. Mi avviai a piedi non potendo fare affidamento su Lizardo che altrimenti già un attimo dopo avrebbe spifferato tutto a mia madre.

Bussai alla sua porta. Mi aprì presentandosi con l'asciugamano in vita e i capelli fradici. Era appena uscito dalla doccia. Si notava anche dal tanto vapore che fuoriusciva dalla porta del bagno.

"sei in anticipo" guardai l'orologio e in effetti ero arrivata dieci minuti prima

"se vuoi me ne vado" tirai fuori la linguaccia e lui mi tirò dentro dal braccio per farmi entrare. Mi bloccò sulla porta per baciarmi e poi scomparire. Ne approfittai per sistemare il tavolino del salotto pieno di carte e cose inutili.

"non c'è bisogno che fai la fidanzatina modello" tirai fuori il dito medio in bella vista mentre si torceva dalle risate. 

"sei disordinato" gli andai con il dito da maestrina puntato, come era solito farmi notare.

"colpa tua che mi hai lasciato" la sua risposta un po' mi colpì e mi incupii. Andai verso la cucina a capire se aveva già preparato qualcosa.

"ho detto qualcosa che non dovevo dire?"

"si" fui telegrafica

"e perché non me lo dici invece di andartene?"

Restai in silenzio. Avevamo ancora davvero tante cose da mettere a posto tra noi.

"perché mi sento in colpa." tirai fuori e scoppiai a piangere "mi sento in colpa perché non ero qui quando avevi bisogno di me" 

Venne ad abbracciarmi e mi portò sul divano.

"neanche io ci sono stato per te, non hai nessuna colpa" provava ad asciugare le lacrime che scendevano sul mio viso "ero solo ironico quando ho detto che mi hai lasciato, non volevo ferirti"

Mi faceva strano riuscire ad avere alcune conversazioni così con Jorge. Prima non lo avrebbe mai fatto. 

Continuavo a piangere, non riuscivo a smettere, sentivo il cuore troppo pieno. Sentivo ritornare quell'odio verso me stessa che avevo provato per troppo tempo.


********************************* FLASHBACK**************************************

"Martina mi apri?" il vocione di mio padre veniva dall'altro lato della porta. Erano quattro giorni che ero arrivata a New York, quattro giorni che stavo chiusa in quella stanza. Mi vergognavo di me stessa, di quello che avevo fatto anche se in realtà non avevo fatto niente. 

Mi vergognavo anche di essere scappata. Avevo usato la maniera più facile, la via più facile.

Stavo male, tremendamente male. Mi tormentavo. Le parole di Jorge mi perseguitavano, l'immagine di Ruggero a terra era impressa nel mio cervello. Avevo perso tutte le persone che amavo.

Iniziavo ad odiare me stessa, sentivo il petto fare male dal peso che mi ero portata dietro.

"va via papà"

"sono quattro giorni che non mangi, avanti apri"

"non importa...tanto se muoio ormai che differenza fa?" 

Ricordo esattamente quella domanda. Mi attanagliava da giorni. Iniziavo a pensare davvero che non ci sarebbe stata differenza, che al mondo ormai servivo a poco e che ormai sarei rimasta segnata a vita da questo dolore che mai nessuno avrebbe potuto capire.

In men che non si dica mio padre riuscita trovare una chiave per aprire. Io ero accovacciata sul pavimento circondata da fazzoletti pregni delle mie lacrime. Lui non disse niente, mi abbracciò.

"non dirlo mai più." sussurrò al mio orecchio "farebbe tanta, tanta differenza"

Io continuavo a piangere.

"devi ricominciare piccola mia, devi ricominciare da te. Io sarò qui accanto."

Da quel momento capii che avere qualcuno a fare il tifo per te era una fortuna, un regalo della vita. Da quel momento iniziai a vivere di nuovo, a fatica.

I primi tempi furono difficili. Avevo una repulsione per la vita sociale.

Mi iscrissi all'università, prima frequentavo le lezioni e tornavo dritta a casa senza parlare con nessuno. A poco a poco mi sbloccai, cercai di reprimere i sentimenti negativi. 

La vecchia Martina andò via un po' per volta per fare spazio alla nuova. I sensi di colpa si attenuarono, ritrovai un po' il piacere di vivere la mia vita o almeno mi misi alla ricerca del senso della mia esistenza. Un'impresa difficile dopo essermi sentita privata dei miei punti fermi.

Era necessario dimenticare o fare memoria e andare avanti. Non pensarci mi sembrava la soluzione più facile e perciò anche quella volta scelsi la fuga, la fuga dai miei pensieri terribili.

Ero consapevole che quel dolore non sarebbe passato, avrei dovuto solo sopportarlo. Dovevo sorridere e camminare, cercare di fare andare tutto bene, ma sapevo che prima o poi quel nodo sarebbe ritornato e sarebbe arrivato il momento di scioglierlo.

******************************

"forse è meglio che vada" dissi 

"forse è meglio che mi dici a che pensi. Parliamo con calma" mi trattenne 

Scossi la testa, non volevo tirare fuori quei demoni ancora una volta. Mi alzai in piedi ed aprii la finestra per prendere aria. Restammo in silenzio. Jorge mi portò dell'acqua e io mi sedetti sul davanzale  per riuscire a respirare meglio.

"non volevo farti stare così" mi prese la mano mettendosi di fronte a me.

"non è per te, è per me, per cose mie"

"mi interessano le cose tue... in due pesano di meno"

Dopo un'iniziale resistenza, tirai fuori tutto raccontando a lui ogni pensiero e emozione, compresi i momenti in cui pensavo che togliermi la vita sarebbe stata la soluzione migliore. Non lo avevo mai detto ad alta voce, non lo sapeva nessuno. Era il primo, l'unico che avrebbe mai potuto custodire una cosa del genere che mi riguardava.  

Tremavo e lui mi ascoltava.

"ora sono io a sentirmi in colpa..." mi accarezzava dolcemente il viso "ho sbagliato tutto con te"

"io non ho saputo gestire la cosa Jorge, lo sapevo che Ruggero provava qualcosa...se avessi fatto qualcosa prima, se fossi stata più decisa, probabilmente sarebbe stato diverso ora e lui non sarebbe morto."

Faceva male parlarne, ma allo stesso tempo sentivo che era troppo tempo che necessitavo di tirare fuori alcune cose.

"smettila di pensare questo...basta" mi fece scendere tenendomi strette entrambe le mani "non è stata colpa tua"

"si invece e rischiavo di perdere anche te allo stesso modo" il mio pianto si faceva sempre più forte e parlare era sempre più difficile

"ma io ora sono qui e mi assicurerò di scacciare via tutto questo dolore"

"non voglio che tu ne ne faccia carico, ne hai già tanto anche tu..."

"quando siamo insieme scompare"

"perdonami per tutto, Jorge"

"non hai nulla da farti perdonare, non da me."

Ci guardavamo e il nostro era uno sguardo intimo.

L'intimità con lui non riguardava solo il sesso. Era spogliarsi di tutto e sentire di essere al sicuro.

Capii che c'era ancora tempo per noi due. 

C'era modo e occasione di tornare prima delle nostre catastrofi. 






Il cuore non dimentica [Jortini]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora