Capitolo ventuno.

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"devi andartene" dico a Jorge presa dal panico. Mio padre non avrebbe reagito bene, lo sapevo. 

Lui era quello che aveva visto come mi aveva ridotta, come stavo appena partita dopo la morte di Ruggero e la nostra rottura. Mi ripeteva sempre che se mai lo avesse incontrato probabilmente non sarebbe riuscito a trattenersi dall'alzargli le mani.

"se me ne vado ora, lo incrocio di certo. Calmati un attimo per favore" mise le sue mani sulle mie spalle

"calmarmi? Oh avanti Jorge, tu non lo conosci"

"prima o poi doveva succedere"

"prima o poi...non adesso...io non sono pronta e poi lui non capirebbe"

"cosa non dovrebbe capire? non vedrebbe che sei felice, che siamo felici?" provava a farmi stare tranquilla con scarsi risultati. Avevo una smania che mi faceva camminare da una parte all'altra dello studio senza sosta. 

Sentivo l'ansia salirmi nel petto. 

"non ce la faccio" mi accasciai con il fittone sulla poltrona

"respira Martina, non è niente" Jorge stava accovacciato a terra mentre io tenevo la testa tra le mani.

"non ci riesco" la mente era ormai affollata. Sapevo benissimo cosa mio padre pensasse di lui e di un nostro ipotetico ritorno. Era stato chiaro prima che lasciassi casa sua. 

Non avrei dovuto incontrarlo, altrimenti mi avrebbe rispedita indietro.

Il rapporto con mio padre era sempre stato strano. Lui mi amava e mi ama smisuratamente, ma la sua severità mi ha sempre messo in difficoltà e lo faceva ancora nonostante io fossi ormai adulta. 

"provaci" l'espressione di Jorge era visibilmente preoccupata.

"non entra aria" stavo avendo un attacco di panico ed ero ormai concentrata solo sulla negatività.

Mio papà lo avrebbe scoperto, avrebbe rovinato lui per poi farmi andare via da Los Angeles. La mia terapia e la mia ripresa erano state dure e vederci insieme, dopo tutto quello che avevo passato, sarebbe stata la sua peggiore sconfitta.

A differenza di mia madre, lui non odiava Jorge a prescindere quando i primi tempi gli raccontavo di aver trovato un ragazzo. Aveva iniziato a non sopportare l'idea di lui accanto a me quando accadde la tragedia. 

"ti devi calmare" Jorge divenne categorico, lo vedevo dai suoi occhi che non sopportava il non potermi aiutare. Nessuno poteva farlo in questi casi.

Sapete com'è convivere con l'ansia? Quel lato di te che preferisci tenere privato, ma che prima o poi esce fuori. La paura di crollare proprio lì davanti a tutti, le crisi che arrivano senza pietà e ti tolgono il fiato. Quando tutto diventa nero e non riesci a trovarla la via d'uscita. Quei pochi minuti che sembrano giorni interni in cui anneghi, inizi a vedere offuscato, le mani che iniziano a tremare.E tu provi a cercarlo un appiglio, uno spiraglio per tornare in superficie. Allora inizi a contare, provi a regolarizzare il respiro ti focalizzi su ciò che è vicino a te, tutto pur di ritornare.E aspetti, aspetti che il mostro con cui convivi finalmente ti lasci in pace, se ne vada ma infondo lo sai anche tu non è possibile. 

Mi abbracciò di colpo, serrandomi tra le sue braccia alle quali mi abbandonai completamente. Continuavo a respirare con fatica e lui mi stringeva, mi sorreggeva. Sentivo mettere forte il mio cuore contro il suo petto. 

"non andrà di nuovo tutto a rotoli, ci sono qui io" 

Non risposi, ma iniziai piano piano ad acquisire un po' di lucidità.

Mi fece bere dell'acqua.

Bussarono alla porta. Guardai Jorge profondamente.

"affrontiamo tutto insieme" mi prese la mano, la lasciai per andare ad aprire.

Dovevo farcela. Dovevo dimostrare a mio padre di stare bene e che quello che io e Jorge eravamo era un qualcosa di sano, di vero.

"bambina mia" mi abbracciò mio padre come al solito vestito di tutto punto."mi manca non averti tra i piedi, manchi a tutti"

"se per tutti intendi Jack, sai già come la penso" scoppiammo a ridere entrambi e gli feci segno di entrare, ma la sua risata si bloccò bruscamente quando lo vide al centro della stanza.

"cosa ci fa lui qui?" mi chiese cambiando tono ed espressione, io lo guardai negli occhi e lui ricambiò con dolcezza

"papà, credo che dovremmo parlare..."

"parlare? e di cosa? di come ti stai facendo prendere in giro da questo? Pensavo avessi capito Martina, ero anche stato molto chiaro"

"si ma...sono cambiate tante cose"

"siamo cambiati" disse Jorge sottovoce, quasi in maniera impercettibile

"non credo proprio...e io che pensavo di trovarti concentrata sul lavoro. Posso sapere cosa ti fa questo ogni volta? Non ti basta come ti ha trattata? Ti faceva pensare di voler morire Martina...non dovresti dimenticare certe cose"

Quelle parole fecero molto chiasso in me, misero in subbuglio le mie sicurezze e fecero ritornare il senso di smarrimento, di disagio, di solitudine.

"io la amo" Jorge avanzò queste parole mai dette prima. Lo sapevamo entrambi di amarci, ma mai nessuno aveva avuto il coraggio di dirlo.

"tu te ne torni a New York." 

"non può decidere per lei...è felice qui, è questo il suo posto, casa sua."

"casa sua è New York."

Questa frase me la ripeteva sempre prima di partire per convincermi a restare. E questo suo volermi convincere mi faceva sempre domandare poi qual era davvero casa mia, quella che avevo lasciato fuggendo? Da quanto tempo lo era e per quanto ancora... esisteva un luogo, un luogo concreto, solido dove avrei potuto considerarmi al riparo, al sicuro da tutto e tutti? 

Con il tempo avevo capito di appartenere a Los Angeles solo perché era il posto in cui c'era lui. Con lui finivano gli interrogativi e tutti i tentativi di fuga. 

"Sono scioccato, Martina. Pensavo ti stessi dedicando alla tua carriera" 

"lo sto facendo papà"

"e lui allora cosa c'entra?" 

Lui c'entrava sempre.

"smettila di avercela con Jorge, ti prego, io l'ho perdonato"

"e come mai questo atto di perdono? Ti ha fatto provare quello che usava lui?"

Cosa? Lui lo sapeva? 

Vidi Jorge distogliere lo sguardo, era ferito. Parlare della sua dipendenza era il suo punto debole e mio padre lo aveva toccato nel profondo.

"che ne sai tu?" dissi nervosa

"sapevo tutto. Credi che non potevo permettermi di indagare su chi ti aveva ridotta in quel modo? Un tossico, Martina. Dici di amare un tossico." 

Se solo avessi saputo del dolore di Jorge sfogato in quel modo, sarei tornata all'istante da New York.

"credo di dovervi lasciare da soli" Jorge uscì senza nemmeno guardarmi

"bravo, gira alla larga"






Il cuore non dimentica [Jortini]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora