Capitolo otto.

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Scesi in cucina la mattina dopo, non potevo continuare a starmene chiusa in camera. Trovai mia madre che stava facendo colazione.

"Martina, so che non ne vuoi parlare ma devo chiedertelo. Non posso non farlo" cominciò.

Quasi non mi strozzai con il caffè sapendo a cosa la nostra conversazione si stava avvicinando.

"Perché questa decisione?" mi chiese velocemente e senza peli sulla lingua.
Mia madre era sempre stata così. Quando doveva dirti una cosa non usava mezzi termini né giri di parole, andava dritto al punto.

"Quale decisione?" le chiesi poggiando il bicchierino sul vassoio facendo finta di niente.

"Perché sei tornata qui a Los Angeles? Perché così improvvisamente? Sei tornata da lui? O per lui? L'hai sentito in questi anni?" mi chiese.

Scossi la testa velocemente.

"No, assolutamente. Non lo vedo e non lo sento da quel giorno, mamma" ammisi pensierosa pensando alla voce di ieri.

"E perché la decisione di tornare in un posto che ti ha causato così tanta sofferenza? Ti ho vista ieri sera quando sei tornata, sembrava avessi visto un fantasma. Hai saputo?" chiese guardandomi dritta negli occhi.

"Cosa?" chiesi curiosa

"Non sai nulla?" mi chiese

"No, cosa?" ripetei

"Dovresti parlarne con Cami, quello che so io potrebbero essere solo voci"

Aveva un viso affranto. A cosa si riferiva?

"Di chi stai parlando?" chiesi

"Di lui" disse con molta difficoltà

"Gli è successo qualcosa?" chiesi preoccupata.

"Dopo il funerale non si è visto troppo in giro, in tanti pensavano che fosse partito, ma in realtà è sempre stato qui e ha iniziato a frequentare compagnie non troppo raccomandabili."

"in che senso?" iniziavo a pensare alle cose più disparate

"dicono sia diventato un tossicodipendente. Si droga, Martina." sentii qualcosa rompersi dentro di me.

"perché non me l'hai detto prima?"

"cosa dovevo dirti? come avrei dovuto prendere l'argomento?"

"non so davvero perché sono tornata. Sono giorni che soffro, che non ce la faccio più."

"dovevi mettere in conto tante cose tesoro. Il tuo passato è qui e il passato non si può mai evitare." Non risposi.

"adesso vado a lavoro"

Mi lasciò lì con i miei pensieri. Scrissi a Cami che mi raccontò quello che sapeva. Mi disse di averlo visto un paio di volte in giro ridotto malissimo.

Nessuno ci aveva più avuto a che fare, tutti dicevano che si fosse bruciato il cervello con le sostanze che prendeva. Si era allontanato dalla famiglia, dagli amici, da tutti. Era diventato irritabile e irascibile.

Andai in studio senza concludere molto e scrissi poi a Lizardo di portarmi al cimitero. Passai dal fioraio a prendere due fiori e andai come di consueto a parlare con il mio amico, l'unico capace di ascoltare veramente e leggere nel mio cuore.

Quel pomeriggio c'era molta gente che faceva visita ai propri cari.

Arrivai da Ruggero e vidi qualcuno davanti alla sua lapide.

Era Jorge.

Piangeva disperato con la testa contro la fotografia.

Io rimasi indietro.

"dove cazzo sei andato? mi hai lasciato qua da solo e io non sopravvivo a lungo, ti avviso. Torna qua." urlava lamentandosi.

Avrei voluto scappare, ma non potevo continuare così, non questa volta. Mi avvicinai lentamente e andai a posare i fiori.

Lui fermò per un attimo il suo pianto e guardò ogni mio movimento.

"Tini?!" disse sottovoce, ma io non risposi. Solo lui mi chiamava in quel modo, diceva che il nome Martina era troppo grande per me e che Tini invece dava l'idea molto meglio.

Incrociai il suo sguardo di sfuggita. Aveva gli occhi arrossati.

"sei tu? sei qui?" il suo tono di voce era disperato e cercava di ottenere da me una risposta. Una risposta che non arrivò perché decisi di andarmene. Non riuscivo a reggere quella situazione. Era troppo.


*************************** FLASHBACK**************************

New York era qualcosa di assurdo, una di quelle città che è esattamente come nei film. Piena di taxi gialli, tombini fumanti, grattacieli altissimi. La città perfetta in cui nascondere i drammi che avevo lasciato a Los Angeles.

Venne a prendermi l'autista di mio padre all'aeroporto e mi portò a casa dove conobbi la sua compagna e suo figlio. Era uno di quelli a cui piace fare lo spiritoso, ma io non avevo certo voglia di ridere. Quel giorno non mangiai e feci lo stesso per l'intera settimana fino al ritorno di mio padre da Londra. La compagna di mio padre non mi accettò facilmente, ci mise del tempo.

Mia mamma aveva raccontato tutto e mio papà provava a sistemarmi, a raccogliere i pezzi di me che rimanevano.

Nel frattempo evitavo i contatti con tutti. Camilla mi chiamava, Jorge mi mandava messaggi per scusarsi dicendomi che non avrebbe dovuto dire certe cose, che mi voleva vedere, che il dolore lo avremmo affrontato insieme, ma era troppo tardi.

Qualcosa in me si era rotto, frantumato.

Mi sentivo ferita, paralizzata o magari con una costola rotta, come se fosse un dolore difficile da vedere all'esterno, ma che continuava a lacerarmi.

Le domande mi tormentavano, i sensi di colpa si facevano sempre più forti. Tante volte ho creduto di non farcela. Ho pensato di mollare tutto e per tutto intendevo la mia esistenza che ai miei occhi appariva priva di senso, inutile, estremamente fallimentare.

Il tempo passava e io dovevo reagire. Non potevo restarmene lì.

Iniziai a fare terapia da una psicologa. Iniziai l'università, conobbi nuova gente, mi laureai.

Cercai di abbandonare per sempre quella vecchia vita, quella vecchia Martina e ritrovai il senso lottando con le mie ombre in cerca di un piccolo e minimo spiraglio di luce.

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Angolo autrice.
Si, è proprio vero, finalmente le loro strade si sono incrociate.

Grazie a chi sta leggendo, votando, commentando! 💗

Il cuore non dimentica [Jortini]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora