CAPITOLO IV

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L'intera settimana trascorre così, con la mia presenza immotivata in azienda che si conclude ogni giorno con furiosi litigi con mio padre. Nessuna delle mie proposte o iniziative sembra andargli a genio, non accetta nulla neanche quando mi impegno sul serio e non propongo cose insensate o troppo fantasiose.

Ormai sembra proprio che la nostra convivenza alla J&K sia impossibile da portare avanti. Anche i dipendenti devono essersi stufati, mentre mio padre è avvilito e sfiancato dalla perdita di autorità che ogni giorno sente di avere nei loro riguardi. E tutto questo è a causa mia, che proprio non riesco ad accettare di dovermi piegare alla volontà dell'uomo dispotico che mi ritrovo ad avere come padre.

A casa la situazione non va meglio, Alberto sa da Mario che anche i litigi fra i miei genitori sono aumentati.
Sono felice, a questo proposito, di avere un appartamento tutto mio, dove potermi rifugiare per staccare un po' la spina, anche se mi sento meno felice nei confronti di mia madre.

Mi telefona ogni sera, cosa che mi rammenta ogni volta che solo io potrei guarire il suo umore, ormai spento e apatico.
Mia madre, per certi versi, rappresenta l'unica ragione per cui la mattina mi impongo di recarmi in ufficio, un posto che ormai sono arrivato ad odiare...

Eppure ci provo, con costanza e fatica... Non con il massimo dell'impegno, lo ammetto. Però sono lì ogni giorno, ma l'epilogo delle mattinate trascorse insieme a mio padre sembra irrimediabilmente sempre lo stesso.

La musica interrompe i miei pensieri, mi do allora una scrollata di spalle e mi posiziono davanti allo specchio, ad aggiustarmi il nodo alla cravatta. Credo che questa sia stata una delle poche cose che mio padre ha avuto la pazienza di insegnarmi come si deve, quando ero ancora adolescente.

L'immagine è tutto, è il tuo biglietto da visita, mi ripeteva sempre, mentre con gesti decisi e sapienti mi mostrava come annodare una delle sue cravatte di seta al collo.

All'epoca c'era ancora un buon rapporto fra noi, perché io ero ancora giovane e mio padre non era ancora così avido di successo e soldi. Il suo brand avrebbe di lì a poco spiccato il volo grazie alla linea Glamour, portata avanti da quella sua designer dai capelli rasati, Renata, che all'epoca pure aveva un aspetto completamente diverso e un umore meno spento.

Sento una mano ticchettare fuori la porta, «avanti,» dico calmo, dopo pochi istanti vedo Alberto entrare nella camera in cui mi appoggio quando sono a casa dei miei. L'ho invitato a presenziare a questa serata perché mi fosse di supporto a sorbirmi la noia mortale che mi aspetta fra mio padre e altri imprenditori come lui, eppure ero convinto che a bussare fosse mia madre, pronta a mettermi cautamente in guardia dal comportarmi in modo indecoroso per l'ennesima volta.

«Ma da dove sbuca fuori quello lì?» Chiede il mio amico indicando la porta della stanza con un pollice.
«Non saprei, ma non è così male, no?»
Stiamo parlando del pianista che si diletta di sotto, in soggiorno. Non sono ancora sceso a dargli un'occhiata ma mi sembra abbastanza bravo.

Propone delle cover meno ritmate di canzoni famose, alcune sono anche abbastanza attuali... E la cosa mi sorprende, non è affatto nello stile di mio padre.
«Non l'hai ancora visto?» Chiede ancora Alberto e io scuoto il capo.
«Sembra uscito da un circo. Vedessi come si è vestito... Tuo padre ha sgranato gli occhi appena l'ha incrociato!»

Sorridiamo insieme, poi ringrazio ancora una volta il mio amico per aver deciso di sacrificare il suo sabato sera partecipando ad una noiosissima serata fra imprenditori.
«Non dirlo neanche,» mi rassicura lui dandomi una pacca sulla spalla, «e poi il bello deve ancora venire!»

«Che intendi dire? Hai organizzato qualcosa per dopo?»
«Non parlo di quello... E comunque no. Ma c'è una ragazza di sotto... Non indovinerai mai di chi si tratta!»
Alzo gli occhi al cielo, lo so eccome invece.
«La figlia di Perrini?»
Alberto annuisce.
«Stavolta si è proprio superato!» Esclamo contrariato.

Il tempo che restaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora