CAPITOLO VII

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Trascorro la successiva mezz'ora davanti l'azienda, a passeggiare, immerso nei miei pensieri.
Il messaggio di mio padre, che definirei quasi telegrafico, non lasciava spazio a molte interpretazioni: è infuriato con me. Un'altra volta.

Probabilmente per la mia assenza immotivata di ieri in azienda.
Forse la sua rabbia è giustificata, ma in fondo mi sono assentato un solo giorno... Uno su tanti, in cui trascorro intere giornate dietro ai suoi meeting, le sue riunioni e i suoi mille impegni.

E questo se non ho nessun impegno universitario.
Già, perché non dimentichiamo di dire che frequento la facoltà che mio padre ha scelto per me.

Non che avessi molte altre alternative... O altre ambizioni. Ma resta il fatto che, terminati gli studi di scuola superiore, mio padre non mi ha lasciato molta libertà di scelta, convinto com'era che dovessi continuare il suo lavoro in azienda.

Faccio tutto questo per te, questa è la frase che ripete sempre... Credo sia diventata per lui quasi un mantra.
Sorrido pensandoci, poi vengo distratto dal mio autista, che finalmente arriva a portarmi la Mercedes.

Questa sarà la volta buona che la guiderò, insieme a mio padre, come avevamo stabilito insieme quando me l'ha regalata.
Non è avvenuto per il mio compleanno, né per qualche altra occasione da festeggiare con un regalo. Si è semplicemente trattato di uno dei doni che mio padre mi ha fatto per assicurarsi la mia fedeltà incondizionata alla sua azienda. Già, sua... Mia proprio non la sento. Non fino a quando non avrò la possibilità di prendere parte in maniera concreta e autonoma al progetto del nuovo brand di cui parliamo ma che ancora non si è concretizzato.

Nell'esatto momento in cui l'autista si allontana, vedo mio padre uscire dalla porta principale dell'azienda: indossa uno dei suoi completi costosi, di colore grigio chiaro, la sua espressione più risentita e cammina verso di me con aria imperturbabile.

«Sei venuto con questa?» Domanda freddamente quando è vicino l'auto.
«Me l'ha appena portata Mario. Ho pensato fosse l'occasione perfetta per fare finalmente il primo giro insieme.»
Mio padre sgrana gli occhi, «cioè, non l'hai ancora mai guidata?»
«Ti avevo detto che l'avrei fatto per la prima volta solo insieme a te.»
Adesso mi guarda con tono provocatorio, «già, quando Andrea si mette in testa qualcosa, è impossibile fargli cambiare idea!»
Decido di ignorare la sua provocazione, «dai, salta su!» lo invito con tono allegro, sperando di risollevare il suo umore e l'intera situazione.

Mio padre però entra a sedersi dal lato del guidatore, «la porto io» dice.
Resto immobile, meravigliato per questa uscita.
«... Ma come?»
«Sono un uomo determinato anche io» spiega senza troppi giri di parole lanciandomi l'ennesima occhiata di sfida.

Subito mi arrendo e salgo in auto... Sento che non sarà tanto facile risollevare la situazione stavolta.
In pochi minuti mio padre mette in moto e raggiunge la carreggiata, la strada è vuota e lui inizia subito ad accelerare dando gas.

Per i primi minuti di viaggio rimaniamo entrambi in silenzio... Ed è un silenzio imbarazzante. Mio padre stringe così forte le mani sul volante che vedo le nocche impallidire e le vene pulsare forte... È decisamente furioso.

«Sei soddisfatto della scelta dell'auto? Che te ne sembra?» Provo a stemprare la tensione.
Mio padre la prende come una provocazione: «e tu, Andrea, sei soddisfatto delle scelte che faccio per te? Eh? Che hai fatto tutta la giornata di ieri?»

Faccio un profondo respiro, ma evidentemente neanche quello gli va a genio.
«Sbuffi? È davvero paradossale che sia tu a farlo, Andrea. Siamo ai limiti del comico. Mi faccio in quattro per te, per cercare di trasmetterti l'amore per questo lavoro e il senso di responsabilità. Non bisogna mai fermarsi nella vita, mai! Lo sai questo, Andrea?»

Il tempo che restaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora