CAPITOLO XI

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Le luci dell'alba catturano l'attenzione di mia madre, che finalmente si alza per dirigersi nella camera da letto dove, una volta abbassate le persiane, si stende a dormire.

Le resto accanto per un po', fino a quando avverto il suo respiro farsi più profondo e capisco che ha preso sonno.

I suoi pensieri non sono più sereni, posso chiaramente sentirlo, il suo umore non è di certo migliorato. Ma almeno per qualche ora troverà rifugio dai suoi pensieri, e la cosa mi rasserena.

Vorrei ci fosse un modo per comunicare con lei, vorrei prendermi io tutto il tormento che si porta dentro, vorrei...

Non so cosa accade di preciso, poiché non mi sposto, né chiudo gli occhi, ma in qualche modo intuisco di essere improvvisamente finito nei sogni di mia madre.

Non c'è nulla di preciso e delineato, c'è semplicemente la sensazione che la sua mente in questo istante sia come collegata alla mia, che i miei pensieri possono arrivare a lei.

Intuisco che devo sfruttare la cosa a mio favore, quindi inizio a cantare piano la melodia che intonava prima lei, nello studio di mio padre.

Lo faccio con voce bassa e dolce, e pian piano sento che mia madre si unisce a me.
Senza parlare, le comunico che sono vicino a lei, che non la lascio sola, che potrà trovarmi al suo fianco ogni sera, ogni notte, che tornerò qui a cantare con lei fino a quando avrà bisogno di me.

Vedo mia madre sorridere nel sonno e intuisco che sono riuscito nell'intento di farle arrivare il mio messaggio.
Le accarezzo piano i capelli, gesto che non si compie nella realtà, ma nei suoi sogni sì.
Scendo ad accarezzarle una guancia e poi la abbraccio, e di nuovo mia madre sorride nel sonno.

Felice per questo piccolo progresso, resto con lei per un po', finalmente confortato per aver trovato uno stratagemma per lenire il dolore di mia madre.

Quando il sole è più alto in cielo lascio casa dei miei con l'obiettivo di trovare mio padre: non ha seconde case o appartamenti, non ho quindi idea di dove abbia trascorso la notte.

Probabilmente in qualche hotel, ma ho come la sensazione che invece sia rimasto a vagare per la città in tutte queste ore... Non è tipo da darsi all'alcool, quindi dubito che possa aver messo in pericolo così la sua vita, allo stesso tempo spero proprio che non si sia rifugiato in ufficio.

Poiché questo è il dubbio che mi attanaglia maggiormente, decido di dirigermi proprio alla J&K.
Come per mia madre, vorrei ci fosse un modo per comunicare anche con mio padre.
La dolcezza che caratterizza il legame con mia madre, però, non c'è mai stata con lui, neanche nei tempi in cui il nostro rapporto era ancora vivo e non contaminato dalle continue discussioni.

Mi vengono in mente tutte le lettere che gli ho scritto negli ultimi anni, tutti quei fogli racchiudono in pieno la fame d'amore, l'ammirazione e i sentimenti che nutro verso di lui, e forse potrebbero diventare lo strumento attraverso cui mettermi in contatto con mio padre.

Lui però non è mai andato casa mia, se escludiamo la volta in cui abbiamo visitato insieme l'appartamento prima di decidere di acquistarlo.
Dubito, quindi, che vi si recherebbe adesso, e che quindi potrebbe trovare tutte le lettere che ho scritto per lui.

Con questi pensieri in mente, mi rendo conto di essere arrivato davanti alla J&K.
All'ingresso, insieme ad Arianna, ci sono due uomini, un signore di mezza età e un giovane ragazzo.
Riconosco che sono padre e figlio, fornitori italiani dell'azienda che si occupano della fornitura di capi in pelle per la linea Glamour, di fascia prezzo e target più alti rispetto alla linea principale del brand.

«Veramente non saprei, non conosco i dettagli...» Sento sussurrare da Arianna, avvicinandomi noto che ha le guance paonazze e un evidente espressione imbarazzata.

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