capitolo 16

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Tornai a casa e cenai insieme a mia madre, Matteo e Fabrizio.
O almeno, provai a mangiare qualcosa per celare lo stato in cui stavo realmente.
Dire che fossi nervosa sarebbe molto riduttivo.
Perché avevo accettato, non dovevo.
Dovevo tenermi quel cazzo di vestito, i regali non si riprendono, lo sanno anche i bambini.
Ma Vincenzo era immaturo, me lo potevo aspettare, soprattutto dopo la storia della "scommessa".
Ingoiai forzatamente due bocconi, poi con una scusa mi ritirai in camera.
Non volevo vedere nessuno, durante la cena Matteo mi guardava con gli occhi da cane bastonato, sapeva benissimo il motivo del mio stato d'animo, ma non mi rivolse nemmeno una parola.
Stetti sul letto per un'ora abbondante.
Ormai erano quasi le 22, e Vincenzo non si era fatto nemmeno sentire.
Scesi per fumarmi una sigaretta, e per avvertire Matteo del fatto che Vincenzo sarebbe passato.
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"Ma scusa cosa deve venire a fare qua?" disse Matteo con tono freddo, accendendosi la sigaretta.
"Devo ridargli il giacchetto di ieri sera"
Mi inventai una scusa, non potevo dirgli del vestito.
"Ah ok, però non ci mettere troppo, sai non vorrei che-"
"Matteo, so come comportarmi. Smetti di farmi da genitore" la mia risposta lasciò Matteo senza parole, si bloccò, girandosi dall'altro lato.
"Io mi preoccupo solo per te, lo sai" rispose lui nervoso "Poi dopo vengo anche io insieme a te quando arriva Vincenzo"
"Sì certo, vuoi tenermi anche la mano magari?" dissi sarcasticamente "Non ho 4 anni. E poi ti comporti in modo ambiguo quando si parla di Vincenzo. Sembra quasi tu stia facendo di tutto per farmelo evitare, quando invece non c'entri nulla".
Dopo quella risposta Matteo tacque.
Forse ero stata un po' dura, ma lui si stava comportando in modo strano.
Sì, Vincenzo era uno stronzo arrogante, ma non avevo bisogno dei suoi consigli da finto genitore.
Non avevo bisogno di nessuno, volevo vedermela con Vincenzo da sola.
La cosa della "scommessa" mi suonava strana, e avevo bisogno di parlarne una volta per tutte, per riuscire ad andare avanti.
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23:45
Entrai in camera chiudendo la porta, tutti si erano ritirati nelle rispettive camere.
Tutti tranne Matteo.
Dopo la mia risposta di prima, era rimasto di fuori a fumare.
Ma poco dopo, vidi la luce del giardino spegnersi, e sentii i suoi passi sulle scale.
Bussò alla mia porta.
"Hai imparato finalmente" risposi "Entra".
Matteo entrò, e si mise seduto sul letto dandomi le spalle.
"Mi dispiace" disse fissando il muro davanti a sè.
"Vabè Matteo, non fartene una colpa. Hai provato a proteggermi" risposi io.
"No. Me ne faccio una colpa, e anche grande" disse lui voltandosi verso di me.
Aveva gli occhi tristi.
"Dai Matteo non fare così" lo abbracciai "Alla fine avevi ragione, è uno stronzo".
A quelle parole, Matteo mi guardò, mettendo su un sorriso.
Il sorriso più finto che avessi mai visto.
"Bene, sono felice te ne sia resa conto" disse lui.
Ci fu un attimo di silenzio tra noi, nessuno dei due sapeva cosa dire.
Ad un tratto, cambiando discorso Matteo ruppe quel momento di imbarazzo.
"Domani io, Fabrizio e tua madre andiamo al cinema e dopo ci fermiamo a cena fuori. Staremo via dalla mattina, mi hanno chiesto se vuoi venire" mi chiese.
"Non me la sento Matteo"
"Rimani qua da sola?" mi rispose lui, facendomi gli occhi dolci.
"Sì preferisco, non ne ho voglia".
"Va bene" disse Matteo prima di accarezzarmi la testa e darmi la buonanotte.
Uscii dalla camera, chiudendosi la porta dietro di sè.
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00:40
Sentivo gli occhi farsi pesanti.
Presi il telefono, nessun messaggio, nessuna chiamata.
Vincenzo non si era fatto sentire.
Decisi di provare a dormire.
Probabilmente si era dimenticato di passare.
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02:50
*il telefono squilla*
Mi svegliai di soprassalto.
Cercai il telefono sul comodino, e una volta afferrato, guardai chi fosse a chiamare a quell'ora.
Non avevo il numero in rubrica, decisi di non rispondere.
Ma il telefono continuava a squillare, e non volendo svegliare gli altri, risposi.
"Chi è" dissi infastidita.
"Scendi"
"Ma chi sei" continuai io, ancora mezza addormentata.
"So' Vincenzo, scendi Lucrezia"
Mi tirai su dal letto di colpo.
"Avevi detto saresti passato in serata, non di notte" dissi con tono serio "Ora non posso scendere, gli altri dormono".
Ci fu un istante di silenzio.
Poi sentii Vincenzo respirare rumorosamente, sembrava nervoso.

"Per favore".

Per favore? Perché ci teneva così tanto?
Tutta quella premura per un cazzo di vestito?
Non lo capivo.
Valeva la pena scendere a quell'ora per uno così? No.
Ma continuavo a non sapergli dire di no.
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