capitolo 17

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Non sapevo dirgli di no.
Non ne ero capace, non ce la facevo, o forse non volevo.
Qualcosa mi attraeva a lui, era innegabile.
Dopo quella sera davanti a casa mia, tutto era cambiato per me.
Quelle parole che aveva pronunciato, semplici e confuse, mi avevano scaldato il cuore.
Era onesto, me lo sentivo.
E quella della scommessa doveva per forza essere una scusa.
Quel "per favore" al telefono era ugualmente onesto, il tono con cui l'aveva detto, era troppo sincero.
Mi metteva in confusione, e questo mi piaceva.
Con lui era sempre tutto così improvviso, Vincenzo era un tipo imprevedibile.
E anche se quella sera davanti alla discoteca mi aveva ferita, non riuscivo a negargli di vederci.
Non lo facevo solo per lui, ma anche per me.
Volevo vederlo.
E se tra noi le cose erano destinate a finire, volevo almeno parlarci per l'ultima volta.
-
Scesi le scale lentamente con la busta contenente il vestito in mano, stringendomi la vestaglia alla vita.
Uscii di casa silenziosamente.
La macchina nera era parcheggiata davanti al cancello.
Percorsi rapidamente il viale di casa, sentivo il cuore in gola.
Avevo i nervi a fior di pelle, ma non volevo farmi vedere così; gli avevo detto che mi sentivo con uno, quindi dovevo comportarmi normalmente.
Ma volevo comunque delle spiegazioni, si era comportato da immaturo.
Vidi la luce all'interno dell'auto accendersi, e finalmente riuscii ad intravedere una figura seduta al posto di guida.
Arrivai davanti alla macchina, e Vincenzo aprì lo sportello.
Non mi guardava in faccia.
Scese dall'auto chiudendo la portiera, e fissò la busta contenente il vestito.
Fece segno con la mano come per dirmi di dargliela, ma io continuai a guardarlo negli occhi, aspettando ricambiasse lo sguardo.

"Dai dammi 'sta busta Lucrezia"
disse lui, mentre aspirava gli ultimi tiri di una sigaretta.

Aveva lo stesso tono apatico di sempre, ma stavolta potevo sentire una punta d'amarezza in quella voce.
Dovevo mantenere la calma, non potevo farmi vedere agitata, o peggio, arrabbiata.
Così decisi di passargli la busta tranquillamente.
Questo lo lasciò sorpreso, forse si aspettava una scenata, o qualcosa di simile.
"Posso farti una domanda?" chiesi cercando di mantenere un tono rilassato.
Lui annuì, e allora mi feci forza e parlai.
"Perché questo vestito?"

"La prima sera che ci siamo visti ho detto che te l'avrei preso.
Io le promesse le mantengo sempre"
disse continuando a guardare altrove.

"Ah, quindi non faceva parte della scommessa"
A quelle parole, lui sembrò bloccarsi.
Si prese il viso fra le mani, stropicciandosi gli occhi nervosamente.

"No, nemmeno questo ne faceva parte" disse a bassa voce
"Dai ora me ne vado Lucre', buonanotte"

Nemmeno questo?
Cosa significava?

"Cosa intendi per nemmeno" chiesi confusa.
"Pensaci"
"No dai seriamente" continuai io.
Gli toccai d'istinto il braccio, afferrandoglielo.
Tocco al quale lui si ritrasse immediatamente. Sembrava quasi gli bruciasse.

"Guardami Vincenzo"

"Se ti guardo esco pazzo, o vuo' capì o no?"

Quelle parole mi zittirono.
Adesso mi guardava eccome.
Ma sembrava arrabbiato, molto arrabbiato.

"Non è colpa mia! Io per una volta ero serio e invece lui non ci crede!"
"Lui?" dissi confusa, scuotendo la testa.
"Sì lui, e non mi fare dire altro che sennò e finita" continuò mettendosi una mano alla bocca.
Rientrò in macchina, chiudendosi lo sportello dietro di sè.

"Tu sei bella Lucrezia. Dentro e fuori.
E io no. C'ha ragione lui" disse gesticolando.

Mise in moto l'auto.
"Toh', questo almeno tienitelo"
Mi lanciò un biglietto dal finestrino.
"L'avevo scritto per te"

Senza altre spiegazioni, e senza nemmeno farmi parlare, partì.

Forse non era finita come pensavo.
C'era altro sotto.
Dovevo sapere.

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